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Così si vincono i

JURY CHECHI il Signore degli Anelli: «Ho avuto le

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Nelle cose da salvare mette un tema scritto a 9 anni, la medaglia d’oro vinta ad Atlanta nel 1996, quella di bronzo conquistat­a ad Atene otto anni dopo, uno specchio in camera, un barattolo di Nutella e l’immagine di Miss Villaggio Olimpico edizione 2004. Jury Chechi, detto «il Signore degli Anelli», ha fatto la valigia anche questa volta: a Rio 2016 sarà uno degli ambasciato­ri dello sport azzurro (e mondiale). Farà base a «Casa Italia», ma non starà mai fermo: «Guarderò tutto quello che potrò vedere, non solo Bolt e l’atletica leggera, non solo gli Azzurri, ma tutto, perché vi assicuro che io mi sono commosso anche alle qualificaz­ioni del judo, alla finale del tiro a piattello e guardando l’equitazion­e. Datemi del pazzo, ma questa è la verità». Così ora narrerà di uomini, sport e imprese. Il racconto delle Olimpiadi, da chi le ha vissute, regala un sapore diverso.

Jury Chechi, partiamo dalla medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi di Atlanta?

« Allora partiamo dalla Nutella, si può dire o è pubblicità?». Si può, ma cosa c’entra? « Quella gara finì tardissimo, tornai al villaggio a notte fonda. Andai in camera e, con la medaglia al collo, iniziai a spalmare la Nutella sul pane. Spalmavo e mangiavo, tutto il barattolo. Poi andai in giro a festeggiar­e con gli amici e persi il conto del numero delle birre bevute». Una vita da atleta... « Appunto. La mattina dopo, intorno alle 9, arrivò in camera il mio allenatore. Mi disse di prepararmi per il galà, gli risposi che era pazzo, i fumi dell’alcol mi avevano messo ko, non mi reggevo in piedi. Lui sorrise e mi spiegò che c’era un premio di 10.000 dollari: feci la doccia e via. Credo di essermi preparato in dieci minuti, al massimo». Il bronzo di Atene? «Lo festeggiai da solo, in camera, sempre a notte fonda. Non fu una vera festa, ma qualcosa di diverso, lo ricordo benissimo. Mi guardai allo specchio, con la medaglia al collo. In quel preciso istante, con quella immagine, mi fu chiarissim­o che la mia vita da atleta si era chiusa. Ero felice, sereno e insieme malinconic­o».

Si era già ritirato nel 2000 a causa del secondo grave incidente della sua carriera. Poi?

«Mio padre stava male e si fece un patto: tu guarisci, io recupero e vado ad Atene. Ce l’abbiamo fatta, ma la vittoria più importante è stata la sua. Ora però non chiedeteme­lo...». Cosa? «Se amo di più l’oro di Atlanta o il bronzo di Atene. Amo vincere: a 9 anni scrissi in un tema che da grande volevo vincere le Olimpiadi. Ero un bambino con evidenti problemi, ma con le idee chiare. Però dipende, che cosa intendiamo per vittoria? Per me significa raggiunger­e l’obiettivo prefissato, giocare sempre

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