PAOLA PEREGO
«L’umiltà e il rispetto per tutti. Sempre».
E cosa prova oggi, che di vestiti e scarpe potrebbe comprarsene quanti ne vuole?
«Mi sento molto fortunata. Di più: miracolata. Ma è vero che ho cominciato a lavorare prestissimo». Dove? «Come barista, poi in una cartiera e ancora in un bazar che vendeva “tutto a 9.900 lire”. Ricordo anche che con mia madre avevamo un lavoro a domicilio: assemblavamo pezzi di macchinine, poi impacchettavamo tutto e rimandavamo indietro. Ci davano 2 lire a macchinina. A 16 anni avevo un fidanzato che faceva pubblicità per un’agenzia. Con lui ho cominciato a lavorare nella moda, ma sempre in attesa del lavoro “serio”. Sono passati 34 anni…». Cos’era il lavoro serio? «L’impiegata: lo stipendio fisso. Era il mio sogno. Quando non hai niente, lo stipendio fisso ti permette di rateizzare. Se vuoi comprare una macchina devi portare la busta paga. Ecco, io volevo la busta paga, per essere autonoma economicamente».
Poi è arrivata la televisione…
«Ho cominciato ad Antenna 3, cercavano modelle per fare le vallette mute. Prima con Ric e Gian poi con Teo Teocoli e Giorgio Faletti. Sempre lì ho fatto le aste e venduto bagni: “Questo lavandino è perfetto e guardate la cromatura…” ( ride, ndr). Ho fatto anche l’annunciatrice. Poi mi hanno chiamato a Canale 5 per la sigla di “Attenti a noi due” con Sandra e Raimondo. La prima co-conduzione fu nel 1984 con Marco Columbro ad “Autostop” su Italia 1. Da lì è cominciato tutto». E sul versante sentimentale? «Mi sono separata da Andrea Carnevale quando il nostro figlio più piccolo, Riccardo, aveva solo sei mesi. Lucio lo conoscevo perché lavoravamo insieme, ma non c’era mai stato niente. Solo diverso tempo dopo è nata la nostra storia». Come l’ha conquistata? «Lucio è come se lo avessi riconosciuto, ci siamo ritrovati sui valori: la famiglia, i figli. E poi lui c’è. Sempre. E si prende cura delle persone che ama. Per dieci anni ci siamo visti come fidanzati e sia- mo andati a vivere insieme solo quando i ragazzi sono cresciuti (anche Presta ha due figli, Beatrice e Niccolò, ndr) e abbiamo ritenuto che fossero pronti, ma ero terrorizzata. Invece i ragazzi si sono trovati subito: la prima volta che tra di loro si sono chiamati fratello e sorella mi sono messa a piangere dalla gioia. È stato un dono di Dio». Veniamo a oggi. «Mai nella vita avrei immaginato di potermi permettere quello che ho oggi. Ecco perché, dopo 34 anni di lavoro, se con il mio piccolo programma ho l’opportunità di aiutare le persone, questo mi fa stare bene e vado a dormire felice. E “chissenefrega” degli ascolti. E poi non mi toccano più le cattiverie gratuite, i pettegolezzi. A questa età ho ben chiaro cosa è essenziale e cosa è contorno. Oggi mi concentro sul lavoro e sugli affetti. Le serate in cui io e Lucio siamo a casa insieme con i ragazzi, i loro amici, i fidanzati e le fidanzate sono divertentissime. Ecco, in quei momenti sono davvero felice».