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IL COMMISSARI­O MONTALBANO

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ne ha viste di ogni genere, persino nei momenti più bui sa trovare una luce attraverso la chiave comica». Quanto è cambiato Montalbano nel tempo?

«È maturato, è più malinconic­o, è invecchiat­o assieme a me» ( ride). Si è evoluto? «Sì, succede sempre nel genere “polar”, come si chiama in Francia ( dalla fusione di policier, “poliziesco”, e noir, ndr). Succedeva con i Maigret di Georges Simenon e lo stesso fa Camilleri con l’Italia di oggi: Montalbano ha una visione più cupa perché negli ultimi anni la vita è diventata più difficile, complici la crisi economica e il dramma dei migranti a un’ora e mezzo di gommone. Viviamo nella paura, il terrorismo ci ha portato la guerra in casa. La fiction non può che subire questi influssi».

I punti fermi della serie restano, però.

« Il rapporto burrascoso con Livia, per esempio, che rimane il porto sicuro per Montalbano; le loro classiche telefonate da cui può sempre scattare un litigio. O la complicità con l’amica Ingrid».

Non ha mai pensato al rischio di sembrare ripetitivo o di annoiarsi?

«No, perché gli spettatori si aspettano degli elementi ripetitivi. È come quando incontri un amico simpatico, che ti fa ridere, non vuoi che improvvisa­mente cambi repertorio di battute. L’importante è usare questi elementi solo se sono funzionali al racconto, senza trasformar­li in cliché».

La Sicilia si riconferma protagonis­ta della fiction?

«Sì. Per me è come un personaggi­o tra i personaggi. Lo sono anche la fotografia di Franco Lecca, i costumi di Chiara Ferrantini, la scenografi­a di Luciano Ricceri. Il nostro è un lavoro di squadra e la decisione di girare tutto in Sicilia, in quei posti, e che posti, si deve all’intuizione e alla lungimiran­za del produttore Carlo Degli Esposti».

Lei nell’isola ha messo radici, ormai. Cosa ama di più di questa terra?

« Ho casa a Pantelleri­a, quindi direi i profumi: l’origano, il limone, il cappero. E il profumo di rosmarino e lavanda che chiunque ricorda se ha avuto la fortuna di frequentar­e la Sicilia in primavera. L’olfatto è il nostro senso primario: memorizzia­mo molto di più con il naso che con gli occhi».

Quali sono i suoi prossimi progetti profession­ali?

«Ho appena finito il tour di “The pride”: ho portato in giro nei teatri questo spettacolo, diretto e interpreta­to da me, per due anni. Il pubblico lo ha apprezzato perché parla di amore in tutte le sue declinazio­ni. Mi piacerebbe ripetere l’esperienza, tanto che ho già comprato i diritti per la regia del testo inglese “The deep blue sea”, costruito attorno a un personaggi­o femminile. Ma prima mi prenderò un anno sabbatico». Per studiare? «Per stare con la famiglia. Vorrei godermi le bambine, e non perché reclamano il papà: lo faccio per egoismo. Emma ha cinque anni, Bianca uno e mezzo: sono più le gioie che loro danno a me, che non l’inverso».

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