Il segreto di Amici? Cresce con i ragazzi
«Mi emoziona vedere i giovani concorrenti che anno dopo anno mettono i loro sogni nelle nostre mani. E quando poi si realizzano...»
Andare dietro a ciò che i giovani propongono è garanzia di rinnovamento Chi arriva qui mi dà in mano un sogno e io mi emoziono tantissimo quando uno di loro ce la fa
Eccoci, ci siamo». Manca davvero poco al «Serale» di «Amici», in onda sabato 25 marzo su Canale 5. Maria De Filippi è al lavoro, concentratissima perché l’ingranaggio del programma funzioni perfettamente. E mentre racconta a Sorrisi le novità di questa stagione, non nasconde le sue emozioni.
Arrivato alla 16a edizione, «Amici» è il talent più longevo della televisione italiana. Qual è il segreto per far durare e amare così tanto un format?
«Il programma nasce dai ragazzi, da quello che loro portano di nuovo di anno in anno. Man mano che cambiano le generazioni, cambiano di pari passo le esigenze, i desideri, i sogni. Andare dietro a ciò che i giovani propongono è garanzia di rinnovamento. Basti pensare a come avvengono oggi le selezioni rispetto al passato. Non scegliamo solo tra quelli che si presentano, ma selezioniamo i ragazzi anche attraverso i video che ci mandano. Se uno guarda con occhi attenti la realtà, è la realtà stessa che si fa programma. Poi ci si può azzeccare o meno, ma di certo aiuta».
La scuola di «Amici» è cambiata tanto, negli anni.
«All’inizio, per esempio, insegnavamo canto, ballo, recitazione. Cercavamo ragazzi che nel giro di pochi mesi fossero adatti a interpretare un musical. E forse era una cosa un po’ presuntuosa. Insegnare solo canto e ballo è diverso. I ballerini affinano la tecnica con i professionisti, ma di base sono formati. E anche i cantanti hanno già un talento naturale e si tratta solo di insegnare le giuste tecniche con il diaframma o ad avere il suono più di gola o di naso. La recitazione invece, forse perché è una vocazione, ha bisogno di più tempo e dedizione. Un anno di scuola non basta».
C’è ancora qualcosa di «Amici» che la fa sentire un po’ come se fosse sempre la prima volta?
«Il fatto che i ragazzi arrivano qui e ti consegnano in mano un sogno. E mi emoziona sempre tantissimo vedere quando uno alla fine ce la fa. Vivo accanto a loro, imparo a conoscerli bene. Sono consapevole che passano un anno a fare ciò che considerano il sogno della loro vita. E oggi questo è un lusso. Non c’è niente di più bello che gioire se uno di loro arriva in fondo».
Lei ha inventato la parola «Serale», entrata nel linguaggio comune al pari di «tronista» o «esterna». Come le vengono in mente queste definizioni?
«Sono solo definizioni logiche.
“Tronista” è nato perché il protagonista di turno di “Uomini e donne” si siede su una poltrona a forma di trono. Lo stesso è successo con gli “Rvm”, ovvero i filmati registrati. Si chiamano così nel gergo tecnico di chi lavora in tv, i montatori, per esempio. Io lo dicevo perché lo vedevo scritto nella scaletta, la gente lo ha imparato e ora lo usa. Il “Serale” è nato perché la trasmissione si chiama “Amici”, va prima di giorno e solo in una seconda fase in prima serata al sabato. Per non cambiargli il nome, ho iniziato a dire “il Serale di Amici”. Sarebbe stato un peccato dargli un titolo diverso: la fortuna del programma rispetto ad altri talent sta proprio nel fatto che il pubblico già al pomeriggio inizia a conoscere i ragazzi e si affeziona».
Qual è la magia del «Serale»?
«Per i ragazzi accedere al “Serale” è come aver già vinto. La magia è tutta per loro, i ballerini lavorano con Giuliano Peparini ed è il massimo a cui possano aspirare: fanno esperienza accanto a professionisti inglesi o francesi. Idem per i cantanti, che entrano in contatto con i direttori artistici e iniziano a conoscere un mondo che prima avevano visto solo in tv. Elisa e Morgan sono personaggi che seguivano da casa, magari sono addirittura il motivo per cui hanno deciso di iniziare a cantare».
Stavolta sono stati ammessi anche giovani sotto i 18 anni. Questo comporta cambiamenti nelle scelte degli autori o nel ritmo del programma?
Se uno guarda con occhi attenti la realtà, la realtà stessa diventa già un format