TV Sorrisi e Canzoni

Torno in scena perché c’è bisogno di eroi veri

- Di Stefania Zizzari - foto di Assunta Servello e Fabrizio Di Giulio

Fuori, nel cortile del palazzo della casa di produzione Palomar a Roma, spiccano i colori accesi del pulmino della serie «Braccialet­ti rossi». Dentro, all’ingresso e lungo le scale, le locandine accuratame­nte incornicia­te di «Il commissari­o Montalbano» e «Il giovane Montalbano». Presto ci sarà anche quella di «Maltese - Il romanzo del commissari­o». Quattro puntate in onda su Raiuno da lunedì 8 maggio. Il protagonis­ta è Kim Rossi Stuart, che in questo momento è seduto rilassato davanti a me nella sala delle proiezioni. Il silenzio è assoluto. Si percepisce solo il fruscio del mio registrato­re che Kim tiene in mano mentre parla. L’ha raccolto da terra: è caduto appena prima di cominciare l’intervista. «Funziona?» dice. Sì, funziona ancora. Possiamo cominciare. Parla in modo pacato, scegliendo con cura le parole.

Kim, è tanto che non fa tv. Perché ha deciso di tornare con Maltese? « Sono abituato a ponderare i

miei lavori con un’attenzione

quasi ossessiva. Questa serie invece è stata pianificat­a con il produttore Carlo Degli Esposti in maniera più istintiva. Ci siamo detti: facciamo qualcosa che possa trasmetter­e quelli che per noi sono aspetti positivi a un pubblico il più vasto possibile». L’idea iniziale qual è stata? «Raccontare un commissari­o, un eroe vero. Da lì è partito un processo lungo, durato un paio di anni di scrittura». Chi è Maltese? «Uno di quei personaggi che occupano la postazione del bene perché qualcuno deve pur occuparla, sebbene sia sempre più complicato. A causa di pigrizia e indifferen­za, nella nostra società il male cresce, ma ci sono dei paladini che sentono questa vocazione e che sono in genere figure sole». Qual è la sua storia? «Nasce a Trapani, ma a causa di una vicenda personale fugge a Roma. Dopo vent’anni torna nella sua città perché un suo vecchio compagno d’infanzia, oggi commissari­o, in punto di morte lo investe di una missione che qualcuno deve portare avanti. Solleva il coperchio sulla vicenda di suo padre, una storia che aveva ormai rimosso, e il percorso profession­ale e quello personale si mescolano e diventano interdipen­denti». Si parla di eventi mafiosi? «Sì. La storia è ambientata negli Anni 70, quando la mafia è diventata un tema chiaro, a cui si è cominciato a dare un nome preciso. Ma il periodo storico resta sullo sfondo. Abbiamo cercato di non cadere negli stereotipi per rendere Maltese attuale. Avrei potuto indossare camicie con i collettoni e i cravat-

toni: non l’ho fatto». Preparando­si a questo ruolo, a quali ricordi legati alla mafia ha attinto?

«Sicurament­e gli attentati a Falcone e Borsellino. Il discorso in chiesa della vedova di Vito Schifani, uno degli agenti della scorta di Falcone che disse: “Io vi perdono, però dovete mettervi in ginocchio…”. La prima cosa che ho fatto è stata rinfrescar­mi la memoria sugli eroi più o meno recenti della nostra storia. L’ho fatto con rigore e con un grandissim­o interesse. E in questa ricerca mi sono imbattuto in Falcone, Borsellino, Peppino Impastato, ma mi sono soffermato soprattutt­o su Ninni Cassarà (il poliziotto ucciso da Cosa nostra nel 1985, ndr). Lui è stato un mio riferiment­o per Maltese». Da quale punto di vista? «Anche per cose concrete tipo il look, che ho preso da lui. E poi la postura eretta di chi affronta le cose con la schiena dritta. Cassarà era un uomo d’azione». Anche Maltese è un uomo d’azione. «Assolutame­nte sì. Lo vedremo usare le armi, fare delle operazioni sul campo». Gli ha regalato un bel paio di baffi. «Per interpreta­re un siciliano, per quanto di ceppo normanno visti i miei colori chiari, ho sentito il bisogno di dargli delle piccole caratteris­tiche che mi aiutassero a renderlo più credibile possibile. Dargli un po’ più di Sicilia e un po’ meno di Olanda, visto che io sono mezzo olandese...». E poi c’è il make-up. «No, quella è tutta roba mia. Quando ho iniziato a girare la fiction venivo da “Tommaso”, il mio film, due anni massacrant­i. Tutta quella stanchezza è stata utile per il mio personaggi­o che a causa delle indagini non dorme quasi mai. Durante le riprese in Sicilia sono dimagrito parecchio». Come mai? «Ho sempre preso la mia profession­e come una missione. Lavoro sei mesi e poi mi fermo due anni, ma in quei sei mesi do tutto me stesso». Che ricordi ha degli Anni 70? «Il jukebox. Rino Gaetano che faceva canzoni impegnate travestite da altro. La mia preferita era “Nunteregga­e più”. Poi ricordo gli ideali che erano qualcosa di ancora possibile, concreto. Tutto questo mi sembra che sia quasi sparito. Al di là del calcio o cose simili». È tifoso? «Sì, della Roma». Il suo Maltese ha molte cose in comune con Montalbano: la stessa produzione Palomar, Gianluca Maria Tavarelli che è anche il regista di «Il giovane Montalbano», la Sicilia...

«Il colore del mare può essere un reale comune denominato­re, ma lo stile e le leve emotive sono altre».

Le piace Montalbano?

«È fatto molto bene. Andrea Camilleri è il fondamento, Luca Zingaretti è perfetto, e la regia di Alberto Sironi riesce ad armonizzar­e tutto con sapienza e talento». Cosa guarda in tv? «Mi piacciono i documentar­i su natura e astronomia, le partite della mia squadra e alcune trasmissio­ni di denuncia sociale». Ora in che cosa è impegnato? «Con calma sto cominciand­o a scrivere alcune ipotesi di sceneggiat­ure».

E come nascono le sue sceneggiat­ure?

«Ho sempre inteso il mio lavoro come ricerca in me stesso per crescere. E non ci sono alternativ­e: o si fa così o si va appresso al consenso». Agli ascolti, intende? «Ad esempio. C’è una bella differenza tra fare una cosa perché voglio più soldi e più autografi o farla perché sono contento nel vedere che qualcosa di costruttiv­o viene comunicato a più persone possibili». È metodico nello scrivere? «Credo che la scrittura si possa portare avanti solo così. Mi metto al computer nel mio studio e scrivo. Ma gli appunti li prendo ovunque, nei momenti più assurdi, spesso mentre mi sto addormenta­ndo. Allora mi devo alzare perché sennò perdo l’idea».

Sembrerebb­e un tipo ordinato, ho ragione?

«Nasco come la persona più disordinat­a e trasandata che conosca. Per reazione sono precipitat­o nell’opposto». Lei ha vinto tanti premi. «Non è vero». Allora glieli elenco: un David di Donatello, tre Nastri d’argento, due Globi d’oro, tre Ciak d’oro e tre premi Flaiano. Dove li conserva?

«Risponderl­e con sincerità mi mette in imbarazzo. Sto pensando se farlo. E la verità è che a questa domanda non posso risponderl­e con sincerità».

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 ??  ?? SUPERPAPÀ L’attore è padre di Ettore, 5 anni, avuto dalla compagna Ilaria Spada. «Mio figlio è il centro di tutto: delle fatiche e dei divertimen­ti più grandi» dice.
SUPERPAPÀ L’attore è padre di Ettore, 5 anni, avuto dalla compagna Ilaria Spada. «Mio figlio è il centro di tutto: delle fatiche e dei divertimen­ti più grandi» dice.

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