Lino Banfi
LINO BANFI ripercorre la sua carriera per Sorrisi, che dedica al comico una grande raccolta di dvd. E Un medico in famiglia? Torna nel 2018
Un mito della comicità ripercorre la sua straordinaria carriera
Temo di essere in preda a un attacco di «Linomania»: un morbo che negli ultimi tempi si è diffuso sempre di più (e lo stesso Lino Banfi ne descrive i sintomi nella pagina a fianco). Sarà che siamo nati lo stesso giorno, il 9 luglio, sarà che mi riporta ad allegri ricordi d’infanzia, ma incontrare Nonno Libero, ehm... scusate, Lino Banfi, riempie di buonumore. Tanto più che mi ospita nel suo studio tra mille ricordi ben conservati, dai Telegatti a una lettera di Fellini, dalle foto con Totò alla laurea di «allenatore ad honorem» intestata a Oronzo Canà per «L’allenatore nel pallone». Infatti oggi siamo qui per parlare dei suoi film, che arrivano in edicola con Sorrisi (vedi box a destra).
Banfi, come è iniziata la sua avventura nel cinema?
«Era il 1953 e dalla Puglia ero sbarcato a Milano senza un soldo in tasca. Dormivo alla stazione e facevo il posteggiatore abusivo. Poi, finalmente, l’avanspettacolo nei cinema. Allora funzionava così: una proiezione e uno sketch, una proiezione e uno sketch... durante il film mi nascondevo dietro lo schermo, dove le immagini scorrevano
rovesciate, indicavo Manfredi e dicevo: io un giorno lavorerò con lui. Mi davano del matto. E invece è successo».
Il successo è arrivato con la cosiddetta «commedia sexy».
«Ne giravo anche cinque all’anno. Mi chiamavano e dicevano: “Allora, facciamo un moglie-contro-amante, due liceali e un’infermiera dell’esercito...”. Io preferivo il filone scolastico perché mi ha
fatto crescere: nel primo film facevo il bidello, nell’ultimo il preside. Erano pellicole amatissime dalla gente ma i critici niente, mai una parola».
Si rende conto che nel ’73, mentre Fellini girava «Amarcord» con cui avrebbe poi vinto l’Oscar, lei recitava in «Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia»? Quasi una provocazione. «Le voglio raccontare una
storiella. Ci fu un festival del cinema italiano a Mosca, con tre tendoni nella Piazza Rossa dove proiettavano un film di Fellini, uno dei Taviani e il mio “L’allenatore nel pallone”. Indovini qual era l’unico tendone pieno di gente? I critici blasonati snobbavano quei film, ma li guardavano di nascosto. E oggi stanno confessando tutti. Quando ne incontro uno dico: “Ammettilo che ti divertivi!”. E lui tutto rosso fa segno di sì». Come spiega quell’enorme successo? « Mettiamola così: con la scusa della contestazione e dell’amore libero venivano tutti a vedere Edwige Fenech e me. Beh, più Edwige che me...».