TV Sorrisi e Canzoni

Donatella Rettore

DONATELLA RETTORE rivela progetti e rievoca episodi della sua vita pazzesca: drammi, successi, rivalità e incontri

- Di Antonella Silvestri - foto di Iwan Palombi

Quando dal panettiere incontrava Bowie...

Donatella mi dà appuntamen­to in un bell’albergo adagiato sulle colline alle porte di Roma. «Venga lì, chiacchier­iamo al fresco» mi dice al telefono. Durante il viaggio ascolto dall’autoradio le sue canzoni più famose e faccio un salto indietro nel tempo. Quando arrivo a destinazio­ne stanno finendo le note di «Femme fatale». E nello stesso istante mi appare lei. Con la sua aria fintamente distratta, Donatella (che ama però farsi chiamare Dada) ha un portamento da diva e un atteggiame­nto pieno di grazia e gentilezza. «Voglio spiegare a voi di Sorrisi una volta per tutte che nel 1980 non sono arrivata seconda al Festivalba­r dopo Miguel Bosé che cantava “Olympic games” ma arrivammo a pa-

ri merito. Sono io la regina del Festivalba­r, perché ho colleziona­to un miliardo di “gettonatur­e”» puntualizz­a così, a freddo.

Non volevo cominciare l’intervista parlando al passato. Invertiamo la rotta. Che cosa sta facendo ora?

«Sto lavorando a un disco nuovo di inediti, “Stralunata 2”. Uscirà nel 2018. E poi c’è un altro progetto legato a una richiesta sanremese…». Farà il prossimo Festival?

«Le richieste ci sono sempre. Ho partecipat­o a quattro edizioni, è impegnativ­o ma è sempre una buona vetrina. Il Festivalba­r lo farei tutti i giorni, comprese quelle manifestaz­ioni estive che oggi ne hanno preso il posto. Comunque io ci sarei per entrambi». Si parlava di lei anche per «Pechino Express».

«Era circolata la notizia che non avevo trovato il compagno d’avventura. Bugia, perché ce l’avevo. Era il mio truccatore, che è un autentico artista. Non ci sono andata perché era un progetto mio e volevo gestire io la faccenda con Magnolia ( i produttori del programma, ndr) senza l’intermedia­zione del mio manager. Collaboro con lui da 18 anni, però questa cosa volevo farla a modo mio. Il programma lo adoro e spero che l’anno prossimo mi richiamino».

Lei ha esordito nel 1974 a Sanremo con «Capelli sciolti».

«Ero un tipo cicciottel­lo. All’epoca ero all’ultimo anno del liceo linguistic­o, perché i miei volevano che studiassi. Però prima dell’Ariston è stato Lucio Dalla, di cui mi considero figlia, a scoprirmi a un concorso di voci nuove di Peschiera del Garda. Dopo avermi sentito mi disse: “Questo è il tuo lavoro. Non deve rimanere un’avventura”. Io volevo cantare e laurearmi in Agraria

ma i miei volevano che frequentas­si un’altra facoltà e allora non feci nulla». I suoi genitori l’hanno sostenuta?

«Ero figlia unica con una madre attrice goldoniana e un padre commercian­te. Sono cresciuta in un ambiente artistico legato alla prosa. Impegnativ­o per una ragazzina…».

Quando è diventata famosa sua madre era orgogliosa di lei?

«Nel periodo del mio massimo successo, quando lei entrava nella mia stanza, disordinat­a e piena di abiti strani, la prima cosa che diceva, storcendo il naso, era: “Questa camera mi sembra quella di una soubrettin­a di terza categoria…”». Ecco da chi ha preso il suo stile graffiante.

«Sa quante donne si sono liberate grazie alle mie canzoni e al mio look alternativ­o?».

È vero che per i suoi look si è ispirata a David Bowie, che era suo vicino di casa?

«Sì. Abitavamo tutti e due a Oakley Street a Londra. Ogni mattina lo incrociavo

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