Donatella Rettore
DONATELLA RETTORE rivela progetti e rievoca episodi della sua vita pazzesca: drammi, successi, rivalità e incontri
Quando dal panettiere incontrava Bowie...
Donatella mi dà appuntamento in un bell’albergo adagiato sulle colline alle porte di Roma. «Venga lì, chiacchieriamo al fresco» mi dice al telefono. Durante il viaggio ascolto dall’autoradio le sue canzoni più famose e faccio un salto indietro nel tempo. Quando arrivo a destinazione stanno finendo le note di «Femme fatale». E nello stesso istante mi appare lei. Con la sua aria fintamente distratta, Donatella (che ama però farsi chiamare Dada) ha un portamento da diva e un atteggiamento pieno di grazia e gentilezza. «Voglio spiegare a voi di Sorrisi una volta per tutte che nel 1980 non sono arrivata seconda al Festivalbar dopo Miguel Bosé che cantava “Olympic games” ma arrivammo a pa-
ri merito. Sono io la regina del Festivalbar, perché ho collezionato un miliardo di “gettonature”» puntualizza così, a freddo.
Non volevo cominciare l’intervista parlando al passato. Invertiamo la rotta. Che cosa sta facendo ora?
«Sto lavorando a un disco nuovo di inediti, “Stralunata 2”. Uscirà nel 2018. E poi c’è un altro progetto legato a una richiesta sanremese…». Farà il prossimo Festival?
«Le richieste ci sono sempre. Ho partecipato a quattro edizioni, è impegnativo ma è sempre una buona vetrina. Il Festivalbar lo farei tutti i giorni, comprese quelle manifestazioni estive che oggi ne hanno preso il posto. Comunque io ci sarei per entrambi». Si parlava di lei anche per «Pechino Express».
«Era circolata la notizia che non avevo trovato il compagno d’avventura. Bugia, perché ce l’avevo. Era il mio truccatore, che è un autentico artista. Non ci sono andata perché era un progetto mio e volevo gestire io la faccenda con Magnolia ( i produttori del programma, ndr) senza l’intermediazione del mio manager. Collaboro con lui da 18 anni, però questa cosa volevo farla a modo mio. Il programma lo adoro e spero che l’anno prossimo mi richiamino».
Lei ha esordito nel 1974 a Sanremo con «Capelli sciolti».
«Ero un tipo cicciottello. All’epoca ero all’ultimo anno del liceo linguistico, perché i miei volevano che studiassi. Però prima dell’Ariston è stato Lucio Dalla, di cui mi considero figlia, a scoprirmi a un concorso di voci nuove di Peschiera del Garda. Dopo avermi sentito mi disse: “Questo è il tuo lavoro. Non deve rimanere un’avventura”. Io volevo cantare e laurearmi in Agraria
ma i miei volevano che frequentassi un’altra facoltà e allora non feci nulla». I suoi genitori l’hanno sostenuta?
«Ero figlia unica con una madre attrice goldoniana e un padre commerciante. Sono cresciuta in un ambiente artistico legato alla prosa. Impegnativo per una ragazzina…».
Quando è diventata famosa sua madre era orgogliosa di lei?
«Nel periodo del mio massimo successo, quando lei entrava nella mia stanza, disordinata e piena di abiti strani, la prima cosa che diceva, storcendo il naso, era: “Questa camera mi sembra quella di una soubrettina di terza categoria…”». Ecco da chi ha preso il suo stile graffiante.
«Sa quante donne si sono liberate grazie alle mie canzoni e al mio look alternativo?».
È vero che per i suoi look si è ispirata a David Bowie, che era suo vicino di casa?
«Sì. Abitavamo tutti e due a Oakley Street a Londra. Ogni mattina lo incrociavo