«QUESTA CANZONE È UNA MEDICINA: CI DÀ IL CORAGGIO DI RIPRENDERCI LA NOSTRA VITA»
Abbiamo commentato il testo della canzone con lo psichiatra Paolo Crepet, autore di un libro sul coraggio. Caparezza scrive che bisogna trovare una ragione per stare bene, fosse anche «disegnare smorfie sulle facce serie». «Credo volesse dire, come già don Milani, che bisogna sapere disobbedire e bisogna imparare a farlo. In un mondo di “yes man” non si costruisce nulla. Le idee buone fanno
sempre un po’ arrabbiare. La sana disobbedienza fa solo bene ed è sacra perché ci aiuta a crescere, non è vero che distrugge tutto. I musicisti in questo hanno una grande responsabilità: non fare addormentare la gente e risvegliare le nostre anime accomodate sul divano a lamentarsi del mondo». La soluzione che sembra proporre lui è «rallentare», «essere superato». Uscire dal coro, insomma. «Sì, però costa fatica, non è un’operazione semplice. Serve una convivenza più rallentata, meno competitiva e aggressiva. Questo ritmo della vita oltre un certo limite ci fa male. Credo che il testo dica proprio questo: riprendiamoci la vita sapendo che per farlo ci vuole tanto coraggio. La sua mancanza è la maggiore emergenza sociale. Il coraggio è il motore della vita, non possiamo arretrare e fare vincere la paura». Questa canzone è un po’ una medicina? «Sì, perché ci ricorda di non rassegnarci e di non chinare la testa. È un richiamo a ritrovare la nostra diginità di persone e quindi anche la nostra voglia di positività. È il momento di acclamare un po’ di generosa serenità».
Solange Savagnone