TV Sorrisi e Canzoni

Liberi sognatori - Mario Francese

La serie di Canale 5 racconta il delitto del giornalist­a Mario Francese, ucciso dalla mafia. E il figlio Giulio lo ricorda per Sorrisi

- Di Andrea Di Quarto

Su Canale 5 la storia del giornalist­a ucciso dalla mafia nel 1979: abbiamo incontrato Giulio, il figlio .....................

La sede siciliana dell’Ordine dei giornalist­i, a Palermo, è diversa da tutte le altre. È una villa sequestrat­a alla mafia. Sorge di fronte alla villetta dove Totò Riina trascorse gli ultimi anni di latitanza. È qui che incontriam­o Giulio Francese, da pochi mesi alla guida dei giornalist­i siciliani. Giulio è il figlio di Mario, il cronista scomodo che il «Capo dei capi» fece ammazzare da Leoluca Bagarella il 26 gennaio del 1979, e il fratello di Giuseppe, morto suicida dopo aver dedicato la propria esistenza a fare riaprire il caso, fino a ottenere la condanna di mandanti ed esecutori. Due storie tragiche diventate un episodio della fiction di Canale 5 «Liberi sognatori». Giulio, hai già visto la puntata? «La vedrò in tv e sono curioso di scoprire le reazioni. Portare sullo schermo la storia di mio padre era un’idea che cullavamo da tempo. Perché è tragica, ma anche bella da raccontare dal punto di vista umano e profession­ale. In più c’è anche la vicenda di mio fratello Giuseppe, che ha cercato per una vita giustizia per nostro padre e con la sua stessa morte ha finito per darle ulteriore rilievo. Questo percorso per arrivare alla verità per noi è stato un cammino di sofferenza. Per combattere quel silenzio mortifican­te e assurdo che aveva avvolto nostro padre abbiamo pagato un prezzo altissimo e quindi considerav­amo giusto fare conoscere al grande pubblico questa vicenda. In un certo senso con questa fiction cade dopo quasi 40 anni un tabù». Hai incontrato gli interpreti?

«Sì, e ho chiesto loro di raccontare mio padre come un uomo sorridente, innamorato della vita e della sua profession­e. Per questo ho apprezzato la scelta di Claudio

Gioè per il ruolo: ha poco in comune con lui dal punto di vista fisico, ma ha quel bel sorriso che mi piace. Marco Bocci ha un ruolo più drammatico. L’ho visto in una scena, sul set, e mi ha fatto rivivere il dolore di Giuseppe». L’altra pagina dolorosa.

«Quando mio padre morì, mio fratello era solo un ragazzino. Crescendo ha fatto il suo percorso di elaborazio­ne, ha voluto approfondi­re, ha raccolto tutto, riletto le carte. A un certo punto è scattato come un processo d’identifica­zione. Indagare gli ha fatto del male, probabilme­nte le sue ferite mai rimarginat­e hanno ripreso a sanguinare. È stato lui, nel 1995, a chiedere la riapertura del caso. Grazie a Giuseppe i giudici hanno potuto ricostruir­e quel periodo attraverso gli articoli di mio padre. Quando nel 2002 è arrivato alla meta e

ha restituito dignità a nostro padre, era come se fosse stremato. Come se non avesse più motivo di combattere». Perché parli di dignità restituita?

«Perché qualcuno aveva cercato di far passare mio padre per un incauto, uno che in fondo se l’era cercata. Un’accusa che a volte proveniva da quegli stessi colleghi che avrebbero dovuto chiedersi se non fossero stati loro ad essere eccessivam­ente... cauti».

Perché questa vicenda, a parte il bel libro di Francesca Barra «Il quarto comandamen­to», è stata così poco esplorata?

«Temo che non sia casuale. I libri sulla mafia erano un filone, ma omettevano la storia di mio padre. Si parlava sempre della guerra sferrata dai corleonesi partendo dal luglio 1979, dall’omicidio di Boris Giuliano, come se mio padre fos- se stato un giornalist­a di serie B. Invece Mario Francese era il cronista di cronaca giudiziari­a del Giornale di Sicilia, il più importante quotidiano dell’isola, ed è stato ammazzato per quello che aveva scritto, per quello che era in grado di scrivere e soprattutt­o per dare una lezione anche agli altri. Fu lui a scrivere, prima che lo rivelasser­o i pentiti, di una commission­e di Cosa nostra e di una frattura tra i “viddani” ( i contadini di Corleone, ndr) e la mafia tradiziona­le. Fu l’unico a intervista­re Ninetta Bagarella ( moglie di Riina e sorella dell’uomo che lo ucciderà, ndr) e il primo a parlare del caso di Peppino Impastato come di un omicidio. A scrivere degli appalti in mano a Cosa nostra, che da agricola diventava imprenditr­ice, e delle attività paravento riconducib­ili a Riina. E a parlare del “commercial­ista di Riina”, un profession­ista che riciclava il denaro della mafia».

Il delitto dal punto di vista della mafia diede buoni frutti.

«Eccome! Ucciso Francese, i corleonesi sparirono dai radar. I giornali parlavano di una guerra di mafia senza analizzare e capire chi fosse stato a dichiararl­a e perché. Sapremo qualcosa solo nell’84 grazie al pentito Tommaso Buscetta, che racconterà i Corleonesi». Cosa ricordi di quel 26 gennaio 1979?

«Tutto. Perfettame­nte. Avevo vent’anni e lavoravo da poco al Diario ( un quoti

diano di Palermo, ndr) come cronista di giudiziari­a. Stavo tornando a casa dai miei per cena. Vidi un capannello di persone e mio fratello che mi veniva incontro dicendo che avevano ucciso un uomo. Ero convinto di dover raccontare il primo omicidio della mia carriera. Mi avvicinai a Boris Giuliano, capo della Mobile di Palermo, per chiedere dettagli, lui mi strinse il braccio e disse: “È tuo padre”. In quel momento il mondo si è capovolto. È franato tutto. Come un treno che deraglia. Ho avuto il compito di dirlo a mia madre, di informare i miei familiari. D’improvviso mi sono ritrovato da cronista di primo pelo a vittima di mafia. Capofamigl­ia senza essere preparato per il ruolo». C’erano stati dei segnali? «Lui sapeva benissimo di dover morire. Aveva ricevuto minacce, ma possedeva

quella capacità di smontare tutto, non ci ha mai mostrato la paura. Diceva: “Io faccio il mio dovere, sono tranquillo. Non mi può succedere niente”». Come è raccontata la mafia in tv?

«Le fiction sulla mafia non mi piacciono e ho difficoltà a vederle. Non do giudizi critici, ma credo che ci sia un tentativo di spettacola­rizzare. Sono prodotti televisivi e capisco che debbano catturare l’attenzione, ma non mi piace quando gli uomini di Cosa nostra diventano protagonis­ti. Gli eroi veri sono quelli diventati tali loro malgrado. Uomini veri che hanno fatto quello che dovevano fare: andare avanti senza lasciarsi piegare dalla paura».

 ??  ?? IL FIGLIO CHE CERCAVA GIUSTIZIA Sopra, il figlio di Mario, Giuseppe Francese (1966
2002). A lato, Marco Bocci (39) che lo interpreta nella fiction. Grazie alla sua tenacia, per l’omicidio del padre furono condannati all’ergastolo Salvatore Riina come...
IL FIGLIO CHE CERCAVA GIUSTIZIA Sopra, il figlio di Mario, Giuseppe Francese (1966 2002). A lato, Marco Bocci (39) che lo interpreta nella fiction. Grazie alla sua tenacia, per l’omicidio del padre furono condannati all’ergastolo Salvatore Riina come...
 ??  ?? CON «NINETTA» A sinistra, Mario Francese (19251979) e Antonietta Bagarella (73),
allora fidanzata di Totò Riina. A destra, Claudio Gioè (42) nei panni del cronista e Claudia Gusmano
(32) in quelli di Ninetta. Francese fu il primo a intervista­rla.
CON «NINETTA» A sinistra, Mario Francese (19251979) e Antonietta Bagarella (73), allora fidanzata di Totò Riina. A destra, Claudio Gioè (42) nei panni del cronista e Claudia Gusmano (32) in quelli di Ninetta. Francese fu il primo a intervista­rla.
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anni). Alle sue spalle le biografie di alcuni dei nove cronisti siciliani uccisi dalla mafia.
GIORNALIST­A COME LORO Giulio Francese (59 anni). Alle sue spalle le biografie di alcuni dei nove cronisti siciliani uccisi dalla mafia.
 ??  ?? RITORNO ALLA LEGALITÀ Sopra, la sede dell’Ordine dei giornalist­i di Palermo, espropriat­a a un costruttor­e vicino a Cosa nostra. A lato, Giulio Francese.
RITORNO ALLA LEGALITÀ Sopra, la sede dell’Ordine dei giornalist­i di Palermo, espropriat­a a un costruttor­e vicino a Cosa nostra. A lato, Giulio Francese.
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ERA IL COVO DEL BOSS: OGGI OSPITA I CARABINIER­I La casa dove Salvatore Riina si nascose fino al 15 gennaio 1993, giorno del suo arresto. Ora l’edificio è una caserma dei Carabinier­i.
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