Hanno cambiato la sigla di «Don Matteo»
Caro Direttore, sono un grande fan di «Don Matteo» e ho seguito con piacere tutte le stagioni, trovandole di una bellezza sempre crescente negli anni. Ma quest’anno ho provato una grande delusione: hanno cambiato la sigla! Eravamo tutti in salotto ad attendere l’inizio, canticchiando la sigla, e poi... Certo quella nuova non è brutta, ma non si può cambiare la sigla cosi: è come se la Nazionale di calcio cambiasse il colore della maglia con cui gioca o il Festival di Sanremo si trasferisse in una città diversa senza cambiare nome. Un vero peccato...
Alessandro Buono
Sulla nuova sigla, caro Alessandro, è scoppiata la rivoluzione: mi sono arrivate tantissime lettere e lo stesso è successo alla Rai. A me in generale piace quando si cerca di fare qualcosa di nuovo, ma in questo caso sono dalla sua parte: la sigla di Don Matteo non è una sigla, è... un inno. Non riesco a capire il motivo per cui sia stata cambiata (anche se l’autore è sempre lo stesso, il bravissimo Andrea Guerra). Oltretutto la sigla è molto utile se si aspetta l’inizio (spesso in ritardo, tra l’altro) del programma: uno sta rimettendo a posto la cucina, sente la musica familiare di Don Matteo e corre davanti alla tele. Fra poco riprendono anche le storie di Montalbano, lì la sigla non cambia da anni. Spero proprio che non ne abbiano preparata una nuova, altrimenti rischierò di perdere l’inizio mentre mi incaponisco nel complicato tentativo di caricare all’inverosimile la lavastoviglie. Un compito in cui sono, detto tra noi, campione del mondo. (a.v.)
NON TOCCATEMI CECCHINI Da anni seguo la fiction di Raiuno «Don Matteo» e ancora oggi ascolto con piacere questo sacerdote, le sue parole sempre azzeccate in ogni situazione e amo la sua sensibilità: una figura splendida. All’opposto c’è il Maresciallo Cecchini che, secondo me, rappresenta l’Arma dei Carabinieri in modo quasi offensivo: non è una caricatura umoristica, è un personaggio spesso perfino vigliacchetto, senza alcuna comicità, le sue trovate sono grottesche, non divertono nessuno. E per giunta occupa troppo spazio nel racconto. Questo senza nulla togliere a Nino Frassica che è un attore bravissimo a interpretare una parte così difficile. Molti la pensano come me...
Valeria Francalancia
Cara Valeria, mi scusi ma non sono d’accordo: il Maresciallo Cecchini è un personaggio eccezionale, ricco di umanità e di generosità, due qualità che sono
tipiche dei Carabinieri. Che poi nel gioco delle parti qualche volta sia un po’ timoroso, beh, fa parte del «duello» con il coraggiosissimo e invincibile Don Matteo. E a me fa anche molto ridere. Credo che ai Carabinieri una figura come quella interpretata da Frassica piaccia molto e sia anche utile a renderci ancor più vicini dei militari a cui tutti dobbiamo molto. Ah, dimenticavo: lei dice che molti sono d’accordo con lei, ma le giuro che è la prima volta che sento parlare in maniera critica del Maresciallo Cecchini. E se davvero fosse come dice lei, che quel personaggio mette in cattiva luce i Carabinieri, che cosa dovrebbero dire i poliziotti di quel pasticcione di Catarella nella serie di Montalbano?
C’È UN FAZZOLETTO PER TE Caro direttore, le scrivo a nome di mia moglie che, insieme con me, segue sempre il programma «C’è posta per te» di Maria De Filippi, ammirata per la sua bravura,
simpatia e disponibilità a farsi in quattro per cercare di districare le storie, spesso tristi e toccanti, ma a volte divertenti, che propone il sabato sera. Ma proprio per le emozioni provocate dalle storie proposte, che quasi sempre portano i protagonisti alle lacrime, non sarebbe opportuno avere a portata di mano dei fazzoletti per asciugare gli occhi degli stessi protagonisti e, a volte, degli ospiti chiamati per allentare la tensione delle storie più toccanti? Bruno, marito di Fortuna Bellomo,
Biella
Caro Bruno, lei sottovaluta il valore emotivo delle lacrime che magari rovinano il trucco delle signore... Però a dire la verità qualche fazzoletto l’ho anche visto (non mi perdo una puntata, è tra i miei programmi preferiti) e comunque direi che dovrebbero pensarci gli ospiti della trasmissione a portarseli dietro, non Maria, che già deve tenere in mano la cartellina con
gli appunti. Mi saluti tanto la sua signora (ma perché non ha scritto lei? Le faccio paura?).
L’ESTATE INFINITA DELLA TV Siamo in inverno, fa freddo, nelle case il riscaldamento è predisposto dai Comuni o dalle Regioni, e non fa proprio caldo, ma in casa ovviamo al problema indossando un maglione in più. Allora perché in televisione vedo sempre più spesso le presentatrici o le conduttrici delle trasmissioni con abiti sbracciati, senza maniche, come se fossimo in piena estate? Tengono in studio i termosifoni a temperature tanto alte o il clima di Roma è tanto più mite e gradevole?
Anna, Bologna
Negli studi televisivi non fa caldo: di più! E non c’entra il clima di Roma, succede anche a Milano. È che le luci per riprendere un varietà sono molto potenti e sprigionano un calore infernale. Pensi che spesso ci sono dei grandi ventilatori
nascosti per alleviare il problema ai conduttori. Che se potessero presenterebbero i programmi in mutande e canottiera (per fortuna non lo fanno...). Il vero problema ce l’ha il pubblico, che di solito arriva impreparato a quella ondata pazzesca di calore, magari indossando un bel vestito pesante. Poi, finito lo spettacolo, escono al freddo tutti sudati e si prendono il raffreddore. Forse l’ondata di influenza che ha invaso l’Italia è stata provocata proprio dagli spettatori dei programmi televisivi, che hanno poi contagiato tutti gli altri... Gira e rigira, è sempre colpa della televisione!
IL PRESTITO DI RED Sono rimasta colpita dalla vicenda raccontata da Enzo Avitabile nel numero scorso, quando ringrazia Red Canzian per avergli prestato tanti anni fa due milioni di lire («Ero in difficoltà, non potevo neanche comprare il latte per mia figlia» dice) e non aver mai voluto i soldi indietro. Credo che sia Avitabile, per la sua sincerità, sia Canzian, per la sua generosità, siano da elogiare pubblicamente.
Eleonora Pucci, Castello (FI)
Ha ragione, è una bella storia di amicizia e di solidarietà. E che dimostra quanto, checché se ne dica, il mondo dello spettacolo sia popolato di gente speciale (cioè... normale) e perbene.
IN RICORDO DI AZEGLIO VICINI Sono rimasto male quando ho visto che la tv non ha celebrato abbastanza Azeglio Vicini, il commissario tecnico della nazionale di calcio nelle notti magiche di «Italia 90», morto nei giorni scorsi. Sono sicuro che se avessimo vinto sarebbe stato ricordato con maggiore spazio nei telegiornali. Ma è un trattamento ingiusto, in fondo quel Mondiale l’abbiamo perso ai rigori, per un pelo e certo senza che Vicini ne avesse colpa.
Andrea Bettiroli, Bergamo
Azeglio Vicini (nella foto sotto) se n’è andato a 84 anni, nella sua casa di Brescia, non dico dimenticato, ma certo quasi «rimosso» dalla nostra memoria. Perché era uno che non si impicciava, non polemizzava, non alzava polveroni. È stato un grande allenatore, che faceva giocare benissimo le sue squadre. Era anche un gentiluomo, parlava pacatamente e sorrideva spesso. Non mi stupisco che il mondo del calcio, che sta litigando da mesi senza trovare un presidente della Federazione, un presidente di Lega e un commissario tecnico (ovvero le tre cariche più importanti), abbia fatto lo sforzo minimo: dedicargli un minuto di silenzio prima delle partite.