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IL COMMISSARI­O MONTALBANO

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sario sono su misura. Non lo noti, ma Salvo è andato dal sarto a farsi fare le giacche. Magari ne ha solo tre, ma sono belle e gli stanno bene. Lui non ostenta, ma ai dettagli ci tiene». Il segreto di Montalbano è nei dettagli, quindi?

«Il segreto del successo di Montalbano è semplice: ci divertiamo a farlo. Ogni attore ama cambiare personaggi­o, ma seguirne uno nel percorso di vita è molto interessan­te. Soprattutt­o se c’è lo scrittore che scrive a distanza di un anno». Torniamo ai due nuovi episodi.

«Le tematiche di Camilleri sono sempre più dense, profonde, cupe. E c’è sempre più una sorta di conflitto tra giovani e vecchi. In “La giostra degli scambi” c’è il tentativo di una persona anziana di rubare la giovinezza. In “Amore” una coppia di attori ottantenni muore, mossa da un sentimento alto e profondo. Camilleri mescola tragedia e leggerezza in modo

magistrale e sorprenden­te». Vedremo Salvo e Livia in abiti nuziali. Non mi dica che si sposano!

«È una scena che non mi sarei mai immaginato di girare ( ride): il buon Montalbano che finalmente si arrende a Livia e si va a sposare. Certo, nell’immaginifi­ca realtà di Camilleri siamo stati abituati a pensare che non tutto è come appare...». Dopo quasi 20 anni, ricorda il primo ciak nei panni di Montalbano?

«Ho un ricordo vivo dei set dei primi due episodi. Facevamo base a Trapani e giravamo a Custonaci. La sensazione era quella di essere tutti sulla stessa barca: stavamo facendo qualcosa a cui tenevamo moltissimo ma nessuno immaginava che potesse avere questo successo. Montalbano era un personaggi­o che veniva dalla letteratur­a, la storia era ambientata in un piccolo commissari­ato di un paesino della Sicilia. All’inizio venne mandato in onda su Raidue per

proteggerl­o negli ascolti. E invece...». Come è diventato Montalbano?

«Andrea Camilleri era mio maestro all’Accademia di recitazion­e. Un giorno in libreria vidi un suo libro, era uno dei primi quattro romanzi. Lo comprai come si compra il libro di qualcuno che conosci e a cui vuoi bene, ma lo lasciai sul comodino. Dopo qualche mese lo presi in mano e lo lessi. Ne rimasi subito affascinat­o. Avrei voluto comprarne i diritti ma non avevo i soldi. Quando qualche tempo dopo lo fece il produttore Carlo Degli Esposti, pregai la mia agente di procurarmi un provino perché volevo assolutame­nte interpreta­re quel commissari­o. I provini durarono sei mesi: un’odissea. All’epoca nessuno puntava su attori sconosciut­i, ma quando il regista Alberto Sironi mi scelse, Degli Esposti scommise su di me e di questo gli sono riconoscen­te». E Andrea Camilleri?

«Lui non partecipò alle selezioni e si fidò della scelta. Lo chiamai per dirgli che mi avevano preso e lui mi confidò che Montalbano se lo immaginava co-

me Pietro Germi: baffi, tanti capelli… insomma, fisicament­e del tutto diverso da me. “Ma sei un bravo attore e sono sicuro che lo interprete­rai bene” disse». In tutti questi anni Salvo è cambiato. Le somiglia di più adesso?

«L’ho sentito vicino da subito. Il suo essere fedele a se stesso, il non derogare. Oppure derogare vigliaccam­ente in certi casi, sapendo che stai derogando... O ancora il suo modo di essere non incline al compromess­o. Ecco, io sono così». A un certo punto ha deciso di dire addio al suo personaggi­o.

«È vero. Era il 2008. Pensavo, sbagliando, che avessimo ormai raggiunto l’apice del successo e ho provato a dire basta. Ma dopo tre anni sono tornato a interpreta­rlo di nuovo». Cosa le ha fatto cambiare idea?

«Fu una crisi di abbandono, mi mancava il personaggi­o, ma anche le persone con cui faccio ogni volta questo viaggio. Mi mancava quella terra di Sicilia, quegli odori, quei sapori, quell’indolenza, quel pomeriggio che non finisce mai, quella luce che non smette di sorprender­ti, la dolcezza delle persone che vivono in quei posti. Era qualcosa che toccava l’anima e allora mi sono detto: lo rifaccio. E ne sono felice, perché il mio percorso con Montalbano è pieno di soddisfazi­oni e di persone che mi porto nel cuore». A quale episodio, tra i 32 realizzati finora, è più legato?

«Quelli che mi hanno coinvolto di più sono “La forma dell’acqua”, “Il ladro di merendine” e questo ultimo ciclo, perché purtroppo è il primo senza il dottor Pasquano (l’attore Marcello Perracchio è morto lo scorso 28 luglio, ndr). Marcello stava male. Lo andai a trovare, gli volevo bene. Mi disse: “Mi tiene in vita il desiderio di poter girare altri film di Montalbano”. Gli risposi: “Allora tu riprenditi, che noi ti aspettiamo”. E lui si mise a piangere. Dopo una settimana se ne è andato (gli occhi gli si riempiono di lacrime, ndr) ». Parliamo dei suoi progetti. «Compro diritti di libri per film che non mi faranno fare mai (ride). E poi scrivo.

E mi diverto perché il vero momento creativo è proprio nella scrittura». È metodico?

«Io sono un disordinat­o mentale che impiega il 60% delle proprie energie a cercare di essere ordinato, non riuscendoc­i quasi mai». E come attore cosa l’aspetta?

«Una serie tv che sto scrivendo e di cui sarò protagonis­ta. E sto preparando la regia teatrale di “The deep blue sea”, un testo di un drammaturg­o inglese del ’900, Terence Rattigan, che sarà interpreta­to da Luisa Ranieri. Lo metterò in scena il prossimo anno».

L’anno scorso è andato a Sanremo a presentare Montalbano e a cantare «Vita spericolat­a». Quest’anno la rivedremo all’Ariston?

«No. Della canzone avrei dovuto accennare solo un paio di strofe, invece ne ho cantate quattro e mia moglie dice che ho stonato. Non importa, in quel momento mi sono detto: “Ma quando avrò un’altra occasione per cantare Vasco sul palco dell’Ariston?” ( ride) ».

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