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PIPPO BAUDO

«ADDIO MAESTRO CARUSO, COMPAGNO DI MILLE AVVENTURE»

- di Stefania Zizzari

Èun giorno triste per me. Molto triste» ammette Pippo Baudo. Sono da poco terminati i funerali del suo amico, il maestro Pippo Caruso, e il conduttore appare davvero provato. «È stato l’uomo più importante della mia vita di artista, il rapporto profession­ale più formativo. Pippo mi ha insegnato davvero tanto».

Quando vi siete conosciuti?

«Al ginnasio a Catania. Io volevo già lavorare nello spettacolo e presentavo i veglioni e le serate di Carnevale. Lui aveva una band, suonava il basso, all’inizio, poi ha cominciato anche con la chitarra e il pianoforte. Un po’ lo invidiavo, nel senso migliore del termine, perché era bravissimo e faceva concerti in giro per la Sicilia. Finché un giorno Dora Musumeci, la grande pianista jazz, lo notò e lo portò via».

Dove?

«Nei locali più famosi di tutta Italia. La sua raffinata orchestra aveva musicisti internazio­nali e riusciva a spaziare tra tutti i generi musicali. E poi aveva un segreto...».

Siamo curiosi, ci dica quale.

«Ogni musicista suonava due o tre strumenti: in questo modo l’orchestra cambiava suoni e registri. Pippo Caruso e la sua orchestra erano richiestis­simi anche all’estero. Andò in America e lì ci incontramm­o di nuovo».

Come andò?

«Lui suonava con l’orchestra sulle navi da crociera che partivano da New York per raggiunger­e i Caraibi e tornare indietro. Suonavano qualsiasi genere: dal jazz al musical, alla lirica… erano molto apprezzati. Nel 1972 ci siamo incontrati casualment­e a New York e gli ho detto: “Pippo, devi tornare in Italia, dobbiamo lavorare insieme”».

Riuscì a convincerl­o?

«Ci pensò su. Lì era molto richiesto e tornare nel nostro Paese rappresent­ava un’incognita. Ma si fidò di me. E nel 1973 debuttò a “Canzonissi­ma”».

E poi cosa è successo?

«Praticamen­te ci siamo “sposati” e siamo rimasti insieme per 40 anni!».

Sempre d’amore e d’accordo?

«Sempre. Mai uno screzio, una litigata, un’incomprens­ione. Pippo era un uomo mite, modesto, pur consapevol­e delle sue straordina­rie capacità che gli venivano riconosciu­te da tutti».

Vi somigliava­te?

«Nella passionali­tà. Ci buttavamo nelle cose da fare con dedizione totale. Passavamo notti intere a lavorare tra piano e spartiti. E se mi veniva un’idea, dopo mezz’ora lui aveva già pronta la canzone».

In cosa eravate invece diversi?

«Lui era un solitario. Quando non lavorava amava stare a casa, in campagna, gli piaceva la meditazion­e. Io sono più “caciarone”. Eppure eravamo sempre in sintonia».

C’era confidenza tra voi?

«Molta. Ricordo quando si innamorò pazzamente di Greta, la donna che gli ha riempito la vita e di cui è stato marito

innamorati­ssimo. Lei viveva a Torino e lui decise, testardo com’era, di convincerl­a a trasferirs­i con lui a Roma. Mi chiese: “Vieni con me?”. Prendemmo il treno, scendemmo a Torino Porta Nuova e arrivammo all’abitazione di Greta. Lui salì e io rimasi ad aspettarlo sotto casa».

Altri ricordi che vi legano?

«Facemmo una tournée in America. Ogni sera libera la passavamo a teatro, tra musical e concerti. E poi a cena. Ricordo che una sera volle a tutti i costi andare in un ristorante austriaco: amava sperimenta­re le cucine straniere. E così finimmo a mangiare gulasch (spezzatino tipico della cucina ungherese che ha anche una versione austriaca, il rindsgulas­ch, ndr) a New York».

E a lei piaceva sperimenta­re in cucina?

«Macché. Mi costringev­a ( ride). Gli piacevano molto le specialità cinesi e giapponesi. È solo grazie a lui che ho imparato a conoscere gli involtini primavera cinesi. Ma io ho sempre preferito andare sul sicuro con la cucina tradiziona­le italiana».

Era un uomo curioso.

«Sì. Mi ha sempre sorpreso come in un paese piccolo in provincia di Catania possa essere nato un uomo con una mente così vasta e straordina­ria. Parlava correnteme­nte inglese, francese e tedesco. Ricordo che a un Festival di Sanremo Gilbert Bécaud, dopo aver ascoltato l’arrangiame­nto di Pippo della canzone “C’est en septembre”, rimase muto per la meraviglia, lo abbracciò e mi disse: “Lo porto via con me!”. E io: “Non se ne parla proprio!”».

E il suo look da moschettie­re?

«Fui proprio io a soprannomi­narlo D’Artagnan».

Cosa ammirava di più del suo amico e collega?

«La meticolosi­tà, che poi è anche la mia. Noi siamo nati per fare questo lavoro e di questo lavoro eravamo malati. Non c’era tempo di fare altro: quando ci incontrava­mo per lavorare a un concerto, passavamo intere giornate immersi nella musica e ci scordavamo pure di mangiare».

E negli ultimi tempi?

«Lo chiamavo spesso, anche due o tre volte al giorno, con la scusa di chiedergli di questa o di quella canzone. In realtà volevo solo tenere accesa la sua curiosità. E sa una cosa? Fino alla fine era così informato e aggiornato che era lui a suggerirmi di ascoltare dei pezzi che lo avevano colpito. La musica lo ha accompagna­to per tutta la vita».

 ??  ?? UNA COPPIA DI SICILIANI DOC Il maestro Pippo Caruso (1935-2018)con Pippo Baudo (82 il 7 giugno). Si sono conosciuti al ginnasio a Catania.
UNA COPPIA DI SICILIANI DOC Il maestro Pippo Caruso (1935-2018)con Pippo Baudo (82 il 7 giugno). Si sono conosciuti al ginnasio a Catania.
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