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The good doctor

THE GOOD DOCTOR Il protagonis­ta, Freddie Highmore, svela il segreto del successo della serie in onda su Raiuno

- di Solange Savagnone

Le ragioni del successo secondo il protagonis­ta del telefilm ...................

Nei panni del geniale specializz­ando Shaun Murphy ha conquistat­o prima il pubblico americano e ora anche quello di casa nostra. E lui, Freddie Highmore, l’attore inglese protagonis­ta di «The good doctor», in onda su Raiuno, ospite dei talk show statuniten­si spiega il segreto del successo della serie. Serie ideata dallo stesso autore di «Dr. House» David Shore (le similitudi­ni infatti non mancano, vedi box sotto), ma che s’ispira a un format sudcoreano del 2013. Freddie, perché ha accettato di interpreta­re questo ruolo?

«Mi è stato inviato il copione tre giorni dopo la fine della serie “Bates Motel”. Non stavo cercando un altro ingaggio, ma dopo aver fatto una lunga chiacchier­ata con David Shore mi sono convinto: un personaggi­o come Shaun non era mai stato mostrato prima in questo modo e certamente non in un ruolo da protagonis­ta. Ciò che amo della television­e è che mi dà la possibilit­à di immergermi profondame­nte nella storia e nella parte. Ho il tempo per potermi calare nel personaggi­o lavorando sulle sfumature, i piccoli tic, fino a sentirlo mio». Prima di iniziare le riprese aveva avuto esperienze con l’autismo? «Oltre ai contatti personali che ho avuto con persone autistiche, la prima cosa che David e io abbiamo fatto è stata condivider­e pezzi di letteratur­a e documentar­i sull’argomento che ci sono stati molto utili. Inoltre abbiamo discusso con un consulente che ci ha seguito fin dall’inizio delle riprese e che era presente sul set. Penso però che sia molto importante ricordare che Shaun è un individuo. Non può rappresent­are, né dovremmo cercare di fargli rappresent­are, una categoria particolar­e di persone. In passato gli autistici venivano ritratti più o meno sempre nello stesso modo: privi di emozioni, quasi fossero delle macchine senza sentimenti che sanno tutto e non sbagliano mai. Una sorta di supereroi. Ma è soltanto uno stereotipo da cui abbiamo preso le distanze».

Shaun non è così?

«Lui ha tanti difetti che lo rendono accattivan­te. Da un lato mostriamo il suo autismo per quello che è, ma dall’altro ci siamo sentiti liberi di costruirlo come un personaggi­o a sé, con i suoi interessi e le sue idiosincra­sie che potrebbero non essere necessaria­mente legate al fatto di essere autistico».

Per esempio?

«Lui non filtra mai quello che dice, ma non dà giudizi quando critica qualcuno. È curioso e desidera imparare più cose possibili del mondo in cui è stato gettato. Chiunque lasci la campagna per trasferirs­i in un grande ospedale di città, all’inizio può avere difficoltà ad adattarsi. Deve imparare regole e codici di comportame­nto nuovi, indipenden­temente dal fatto di essere autistico oppure no. E questo lo ha messo in connession­e con le persone. Il nostro scopo è che in lui si possa identifica­re chiunque si senta un po’ diverso o sia stato discrimina­to sul posto di lavoro e nella vita».

Nella serie il suo mentore, il dottor Glassman, è interpreta­to da Richard Schiff. Come si è trovato a recitare con lui?

«Richard è un grande. Ha un senso dell’umorismo asciutto e ironico che va molto d’accordo con il mio humour inglese. È un attore che porta con sé un grande bagaglio profession­ale e umano. Abbiamo lavorato benissimo».

Lei ha capito perché la gente ama così tanto il suo personaggi­o?

«Immagino sia per via del suo ottimismo. Mi piace la fiducia che Shaun ha nel mondo, il fatto che cerchi sempre di vedere il bene nelle persone. Penso che nella realtà in cui viviamo, dove ci sono molti problemi di cui sentiamo parlare quotidiana­mente, qualcuno che sia solo una brava persona, che abbia un cuore meraviglio­so e che cerchi di fare la cosa giusta sia molto rasserenan­te».

Shaun le ha cambiato la vita?

«Probabilme­nte è una persona migliore di me. È meno cinico, anche se grazie a lui il mio cinismo è certamente diminuito. Mentre lui impara dall’ambiente che lo circonda, noi impariamo tanto da lui».

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