Claudio Amendola
«La grande occasione americana l’ho avuta, ma non l’ho colta. Quel giorno ho preferito andare dalla mia fidanzata. E lo rifarei» racconta l’attore
È il protagonista di «Nero a metà», la nuova fiction poliziesca di Raiuno
Mi viene incontro, ma faccio fatica a riconoscerlo. Claudio Amendola ha la testa completamente rasata. Lui capisce al volo e ironizza: «Tranquilla, nella fiction ho ancora i capelli». Quella di cui parla è «Nero a metà», la nuova serie tv poliziesca in sei puntate in onda dal 19 novembre su Raiuno. Fiction in cui veste i panni dell’ispettore Carlo Guerrieri, che, con la sua squadra, è chiamato ad affrontare i casi di una Roma sempre più multietnica, tra pregiudizi e difficoltà legate all’integrazione. Noi invece ci incontriamo a Bolzano, dove l’attore è sul set di «Le mele di Adamo», remake dell’omonimo film danese. Alla regia, Giorgio Pasotti. Dopo la miniserie «Lampedusa», in «Nero a metà» interpreta ancora un personaggio simbolo della legalità. Nel cuore della sua Roma…
«Al commissariato del centrale rione Monti se ne vedono di tutti i colori. La serie racconta in modo moderno tutto quello che viviamo ogni giorno, dal razzismo agli esempi di convivenza civile tra persone di cul- ture diverse. Non vuole però essere un manifesto politico».
E l’arrivo di un viceispettore di colore, fresco di accademia, porta scompiglio anche nella vita privata dell’ispettore… «Malik Soprani ( interpretato da Miguel Gobbo Diaz, ndr) è inquadrato, brillante, super tecnologico e... “insidia” la mia adorata figlia Alba. Ma il mio personaggio combatte con i fantasmi del passato. Nel suo rapporto con la figlia incombe la figura della mamma, scomparsa quando la bimba era piccolissima: una presenza ingombrante».
Lei in polizia, ma ci pensa? Ha sempre raccontato di essere stato una testa calda da giovane.
«Solo marachelle, mai niente di serio. Invece sono appassionato del genere “legal”, che è molto popolare in America. Mi piacerebbe interpretare un avvocato».
A proposito di Stati Uniti, il sogno di ogni attore è Hollywood. Le è mai capitata la grande occasione?
«Una enorme, ma non la colsi. Non mi presentai alla prima di “Nostromo” ( miniserie internazionale del 1996 che lo
vedeva tra i protagonisti, ndr) a Londra. In aeroporto mi trovai di fronte a due ingressi: uno portava al volo per la capitale inglese e l’altro a quello per Madrid, dove andai. Mi presentai a casa di Francesca ( Neri, ndr), con cui ero fidanzato da 20 giorni. Probabilmente se fossi andato a Londra la mia vita sarebbe cambiata, ma rifarei tutto perché lo stupore sulla faccia di Francesca quando bussai alla sua porta non ha prezzo». Sua moglie, nonostante una carriera avviata, ha fatto un passo indietro da quando siete insieme.
«Ha scelto felicemente di occuparsi di nostro figlio ( Rocco,
19, ndr), di liberarsi dall’essere… Francesca Neri. Credo che non si sia mai sentita così amata nella vita. E poi una che ha girato film importanti non trova sempre progetti per lei interessanti, almeno qui. Da spettatore mi dispiace perché era ed è la più brava. Stiamo insieme da 23 anni. Sereni e felici. Qualche volta abbiamo pensato di lavorare insieme. Chissà».
Sembrate tanto diversi. Francesca dolce e raffinata, lei più «ruvido». «( Sorride) Ho solo recitato molto bene questa parte, che mi
ha fatto fare carriera. “La bella e la bestia”? Francesca è molto più bestia di quello che si possa pensare, nel senso che è “materiale”. Ama mangiare molto».
Lei è figlio d’arte. C’è una frase di suo padre Ferruccio che ricorda spesso?
«Quella del mio primo giorno sul set. Mi disse: “Ricordati che lì ci sono 80 persone che lavorano solo per il bel faccione tuo. Quindi rispetto per tutti!”. È una regola di vita. Per il resto devo ammettere di non avere seguito i consigli dei miei genitori perché erano poco presenti». E lei è un padre presente? «Poco. Cerco di dare buoni esempi». Ai suoi ragazzi interessa fare cinema?
«Alessia fa la doppiatrice mentre Giulia vive in campagna, è un’artigiana ( entrambe avute con la ex moglie Marina Grande, ndr). Rocco vorrebbe fare il dirigente sportivo». Se oggi suo padre fosse vivo si farebbe doppiare?
«È successo in una scena del film “Soldati - 365 all’alba” in cui correvo. Il respiro nell’audio originale si sentiva male e nel montaggio ebbi difficoltà. “Vabbè la faccio io” disse mio padre, direttore del doppiaggio. Sei secondi in cui ansimava!». Lei non fa teatro. È una sua scelta?
«Non ce la faccio. Lo so, è un’ottima scuola ma non amo la ripetitività. Adoro la televisione, a cui sono grato».