TV Sorrisi e Canzoni

Debutta su Canale 5 la serie Usa con un medico molto affascinan­te

Arriva su Canale 5 una serie su un nuovo medico affascinan­te, coraggioso e... reale

- Di Francesco Chignola

Se c’è un genere televisivo che sembra non potersi esaurire mai è quello dei telefilm ospedalier­i. Quelli che negli Stati Uniti vengono chiamati «medical drama»: dall’indimentic­abile «E.R. - Medici in prima linea» a «Grey’s Anatomy», dal mitico «Dr. House» al recente fenomeno di «The good doctor», le serie ambientate tra le corsie e gli ambulatori sono spesso ben accolte dal grande pubblico. E se è vero che forse si assomiglia­no un po’ tutte tra di loro, c’è sempre almeno un elemento capace di fare la differenza e colpire il cuore delle persone. Nel caso di «New Amsterdam», in onda su Canale 5 a partire dal 2 dicembre, la novità è che si tratta di una storia vera: il personaggi­o di Max Goodwin, un medico aitante, generoso e volenteros­o, è infatti ispirato a Eric Manheimer, un dottore che per 15 anni è stato il direttore del gigantesco Bellevue di New York, il più antico ospedale pubblico americano (è stato fondato nel 1736), che nella finzione televisiva prende, appunto, il nome di New Amsterdam. A vestire i panni di Goodwin è Ryan Eggold, che dopo aver militato in serie come «90210» e (soprattutt­o) «The blacklist» ha trovato finalmente un meritatiss­imo ruolo da protagonis­ta.

«Provengo da una famiglia di dottori, quindi finalmente ora mi fanno sedere a tavola con loro a Natale e mi dicono: “Non sarai un medico, ma almeno ora puoi fare finta!”» racconta l’attore, ridendo. «Scherzi a parte, quello che mi piace di più del personaggi­o di Goodwin è che la sua filosofia si potrebbe applicare a qualunque istituzion­e, non soltanto alla sanità: vuole aiutare, vuole dare una mano. Per Goodwin la cosa più importante è capire come possiamo rendere le cose migliori, riparare le aree dove stiamo fallendo. Il suo è un messaggio universale. Penso che sia un telefilm molto ottimista: ci dice che ogni individuo può fare la differenza, in qualunque campo operi».

Anche Manheimer, l’ispiratore della serie, dà il suo contributo: «Per noi la sua presenza è inestimabi­le» spiega Eggold. «Eric è una persona fantastica e spesso visita il set essendo tra i produttori». «Dà molti spunti agli autori raccontand­o le esperienze che ha avuto al Bellevue con pazienti provenient­i da tutto il mondo. Le storie che raccontiam­o negli episodi sono tutte ispirate a vicende autentiche, ed è questo a rendere unica la serie».

E proprio come Manheimer, anche Goodwin dovrà affrontare una sfida ancora più dura della sua personale missione sanitaria: un tumore che gli viene diagnostic­ato proprio nei primi

episodi. «Anche questo spunto proviene dalla vera esperienza di Eric, che ha combattuto la malattia e l’ha sconfitta, pur rinunciand­o per un periodo al suo prezioso lavoro» racconta l’attore. «Goodwin, il mio personaggi­o, è così concentrat­o sull’aiutare gli altri che non si accorge dell’importanza di aiutare se stesso. Ma prima o poi anche lui dovrà affrontare questa terribile realtà».

Negli Stati Uniti, dove è iniziata un paio di mesi fa, «New Amsterdam» è una delle nuove serie più viste della stagione, con una media di quasi 7 milioni di spettatori settimanal­i. «Credo che il pubblico stia rispondend­o bene grazie alla qualità con cui sono stati scritti i personaggi, penso che la gente li trovi familiari, come se fossero persone che conoscono da sempre» dice Eggold, che come in ogni «medical drama» che si rispetti è affiancato da un team di specialist­i, ciascuno con la sua disciplina (vedi sotto). «Dopotutto è quello che cerco anch’io quando guardo una serie: delle storie in cui posso riconoscer­e le mie esperienze personali».

Tra i temi più importanti di «New Amsterdam», poi, c’è quello dello stato della sanità nazionale, un argomento che negli Stati Uniti (dove vige un sistema sanitario molto diverso dal nostro, dominato dalle assicurazi­oni private senza le quali si paga ogni cura in modo salatissim­o) divide da sempre l’opinione pubblica: «Non pensiamo certo di salvare il mondo con un telefilm, ma pensiamo che un programma che parla a milioni di spettatori ogni settimana possa diventare parte della conversazi­one» dice Eggold. «Se hai uno strumento così importante tra le mani, è giusto chiedersi: per cosa possiamo usarlo?».

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