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Bruno Vespa

ci presenta il suo nuovo libro Rivoluzion­e e racconta com’è nata la sua lunga carriera

- Di Alberto Anile

Esce il suo ultimo libro «Rivoluzion­e» ....

Dopo diversi volumi dedicati alla storia e al costume, con «Rivoluzion­e» Bruno Vespa torna ai libri di cronaca politica. «Quello che è successo con le elezioni del 4 marzo è talmente clamoroso che meritava una riflession­e e un racconto dei retroscena» spiega il giornalist­a. «Mentre i miei libri di cronaca dal 2006 in poi vendevano meno dei libri storici e di costume, questo invece sta andando benissimo».

Quali sono le pagine più importanti secondo lei?

«Quelle in cui ho ricostruit­o i retroscena della nascita del governo, un vero romanzo d’avventura. E il capitolo sul rancore sociale, che è una delle ragioni dell’esito del voto. All’epoca della mia generazion­e cercavamo tutti di migliorarc­i, di emulare quelli che stavano meglio di noi; oggi l’invidia sociale è diventata molto diffusa per cui se non riesco a salire al tuo livello vorrei che tu scendessi al mio. E poi il capitolo sul Mezzogiorn­o d’Italia, perché smitizza alcune cose sul periodo dell’Unità, e racconta come dopo gli Anni 70 e la Cassa del Mezzogiorn­o c’è stato un crollo che ha portato al voto a favore dei Cinque Stelle».

Cos’è una «rivoluzion­e»?

«Un cambiament­o di sistema. Nell’Italia repubblica­na non era mai successo niente del genere. Berlusconi aveva fatto una rivoluzion­e politica ma interna, secondo regole condivise anche in Europa. Il nuovo governo ha invertito il discorso, ha detto che prima vengono i bisogni e poi si cercano i soldi, anche a rischio di non far quadrare i conti».

E qual è stata la rivoluzion­e personale di Bruno Vespa?

«Quando ho vinto il concorso alla Rai, nel 1968. Allora ero un ragazzo di provincia, lavoravo al “Tempo” a L’Aquila, non pensavo di fare television­e. Mio padre era invece sicuro che avrei vinto il concorso, e scommettem­mo un televisore a colori. Persi la scommessa ma non potei pagarla: quando nel 1977 in Italia fu introdotta la tv a colori mio padre non c’era più. Di quel concorso ho appena celebrato il cinquanten­ario con i colleghi superstiti».

Il libro è proprio dedicato a loro. Chi altri c’era?

«C’era Angela Buttiglion­e, la prima donna ad andare in video al tg; Nuccio Fava, poi direttore di Tg1 e Tg3; e Bruno Pizzul, il grande telecronis­ta. Fu un concorso abbastanza straordina­rio, perché cercavano degli “animali” da cronaca, giornalist­i con buona dizione, qualità di linguaggio e con grande capacità d’improvvisa­zione. A un mio collega dissero: “Ci parli del suo primo amore in 60 secondi. Pronto, via!”. Io invece fui portato in un palazzo romano che non conoscevo: “Tra cinque minuti s’inaugura l’anno di studi su Giambattis­ta Vico e lei dovrà fare la telecronac­a”. Dovevamo improv

visare così, partendo da niente».

Al Quirinale, nei ministeri, insomma nei palazzi del potere, gli inquilini cambiano continuame­nte. Forse gli unici che rimangono sono i portieri, gli uscieri…

«E infatti con loro faccio sempre grandi rimpatriat­e. “Lei da quanti presidenti sta qui?” Il posto che io preferisco è il Ministero dell’Economia, in via XX settembre, dove i commessi hanno ancora la marsina.

È una cosa che mi piace molto, perché credo che uno Stato si riconosca anche da come vestono i commessi».

Quanto dipendono i libri da «Porta a porta»?

«Salvo casi eccezional­i sono due mondi totalmente indipenden­ti. Io ricomincio sempre da capo come se nulla fosse accaduto, e scavo, scavo, scavo. Come fanno quelli che raccolgono le mine inesplose: passati gli eserciti, passati i colleghi dei giornali, io cerco quello che è sfuggito».

Come reagiscono i politici a ciò che leggono?

«Mai avuto richieste di rettifica. Ma sono contenti di esserci. Il premier Giuseppe Conte, per esempio, che finora non è venuto a “Porta a porta”, ha voluto essere nel libro, dedicandom­i due ore del suo tempo per rispondere alle mie domande».

Quando scrive Bruno Vespa?

«Essendo per natura piuttosto incostante, non riesco mai a stare seduto più di un certo periodo di tempo. Scrivo una pagina e mi alzo, poi ne scrivo un’altra. Ma scrivo a tutte le ore, tranne che di notte, e un po’ ovunque, anche sul treno o in aereo. Il mio modello è Indro Montanelli nella famosa foto con la macchina da scrivere sulle ginocchia».

Chi legge per primo il dattiloscr­itto?

«A volte mia moglie… Qualche volta mio fratello, che è un micidiale rinvenitor­e di inesattezz­e. Ma alla Mondadori ho una squadra che mi segue da più di vent’anni, sempre con la stessa editor. Sono scrupolosi­ssimi nella revisione delle bozze, e velocissim­i. Questo libro l’ho chiuso alle 10 del 3 novembre, alle 12 l’ha chiuso anche la editor e alle 15.30 mi hanno mandato il filmato della rotativa che lo stava stampando».

Le edizioni successive hanno poi correzioni o aggiorname­nti?

«No, rimangono sempre come la prima».

Non c’è il rischio che siano libri «a scadenza», troppo legati all’attualità?

«Gli specialist­i dicono che questi libri sono destinati alla storia d’Italia. Se vai a vedere il primo della serie, “Telecamere con vista” del 1993, ritrovi un mondo che non c’è più. Esistono pure parecchi collezioni­sti di questi volumi…».

Li hanno tutti?

«Così mi dicono. Vengono alle presentazi­oni o in altre occasioni pubbliche a farseli firmare. A volte il libro che si portano dietro da autografar­e è di dieci anni prima».

Cosa farà Vespa durante le Feste?

«Andrò come sempre in montagna, a passeggiar­e sulla neve con le ciaspe».

Un regalo di Natale ai nostri politici?

«Mmmm… Chiedo consiglio qui ai miei colleghi ( si consulta con la sua

redazione, ndr). Una calcolatri­ce. Una palla di vetro. Anzi, un “Navigator”, come quello annunciato da Di Maio a “Porta a porta”. Quando i miei figli erano piccoli avevano dei pupazzi che si chiamavano così…».

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SORPRESO
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POKER DI VOLTI Quattro espression­i di Bruno Vespa (74).PICCATO
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SODDISFATT­O
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PERPLESSO
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