È l’interprete principale del film tv tratto da un romanzo di Andrea Camilleri, il “papà“di Montalbano
FRANCESCO SCIANNA ci racconta La stagione della caccia, il film tv tratto dal romanzo di Camilleri e ambientato nella Vigata di fine ‘800
Di Francesco Scianna si dice che abbia un fascino antico. E lui stesso ammette, tra una risposta e l’altra, che il suo volto, dai lineamenti così marcati che sembrano scolpiti nell’ebano, ben si adatta a Fofò La Matina, il personaggio uscito dalla penna di Andrea Camilleri protagonista de «La stagione della caccia - C’era una volta Vigata», film tv in onda su Raiuno dopo gli straordinari ascolti dei due nuovi episodi del commissario Montalbano. Siamo sempre a Vigata, la stessa di Salvo, ma alla fine del 1800. Qui Fofò, farmacista di umili origini, si muove seguito da una scia di di sangue e di passioni.
Scianna, il suo Fofò è un tipo piuttosto misterioso.
«Non ho ancora visto il film finito e non ho idea di cosa sia venuto fuori. Ma il lavoro fatto è stato proprio quello di cercare la complessità di questa figura: devi percepire delle cose ma non le devi scoprire fino alla fine».
Perché la storia resta sempre un giallo.
«E di conseguenza la difficoltà è stata quella di “asciugare” il personaggio per non far percepire ciò che doveva muoverlo o accadeva dentro di lui».
Partiamo dall’inizio: perché Fofò torna a Vigata?
«Torna dopo anni motivato da un riscatto sociale. Da bambino ha subito un’umiliazione, oltre al trauma della perdita del padre. Ora è completamente diverso e ci tiene che la gente non lo riconosca, ha lottato tanto per diventare quello che è. Ha una sorta di complesso divino di superiorità, come dicesse: “Voi umani non potete capire”».
Una vena di follia non manca.
«Beh, analizzando i fatti sì, è fuori della ragione, anche se lui crede alle sue ragioni».
Folle d’amore?
«L’amore gli serve al raggiungimento di uno stato sociale. Fofò non è un personaggio lineare, in lui si toccano delle profondità spiazzanti».
Ha spiazzato pure lei?
«Confesso che ho avuto tre momenti di difficoltà. Il giorno prima di iniziare le riprese, completata la prima fase di studio, ho sentito una grande voragine. Poi muovermi a Marina di Ragusa, meravigliosa e deserta, mi faceva stare in contatto con la mia solitudine, una cosa che può anche spaventare. E infine c’è una scena chiave dove si tirano le somme di tutta la vita di Fofò che ha toccato delle corde dolorose».
Nella vita lei è uno che fa follie?
«Non sono uno tranquillo, non credo che avrei potuto fare questo mestiere se fossi completamente equilibrato».
Oltre che per la recitazione, per cosa si squilibra?
«Le cose più folli le faccio nei rapporti d’amore, allora tiro fuori la mia parte irrazio- nale. E qui la chiudo...».
Nel 1992, quando uscì il libro di Camilleri «La stagione della caccia», lei aveva 10 anni.
«Andavo a scuola, ero arrivato a Palermo da qualche anno, essendo nato a Bagheria. Studiavo, amavo gli animali, avevo canarini e cani».
Voleva già fare l’attore?
«No, ma vedevo film in maniera costante. Fu Charlie Chaplin ad aprire le porte dentro la mia immaginazione. Qualche anno dopo ho capito che volevo fare l’attore, interpretare personaggi ed emozionare il pubblico come io mi ero emozionato».
Il libro di Camilleri quando l’ha letto?
«Per interpretare questo ruolo: alcune cose del libro nel film non ci sono. L’ho letto per avere più materiale, come un esploratore che cerca elementi e suggestioni».
Che ci dice di Camilleri?
«Non l’ho mai incontrato se non leggendolo. La lingua di Camilleri è diversa dalla mia, è più del sud-est della Sicilia. Alcune parole della sceneggiatura non le capivo. Si può dire che Camilleri mi ha arricchito e mi ha fatto questo grande regalo».
Della Sicilia lei cosa si porta dentro?
«Alcuni lati del carattere, alcune modalità e alcuni valori come il rispetto. E delle forme di accoglienza e di galateo nei confronti delle persone: mi piace onorare la persona che incontro, farla star bene, che si senta importante».
Altre storie siciliane che le piacerebbe interpretare?
«In realtà ora vorrei staccarmi, è importante nel percorso di un attore separarsi dalle proprie origini, sento il bisogno di affrontare altro».