TV Sorrisi e Canzoni

Molto caro mi fu...

- di Aldo Vitali av@mondadori.it

«Dovete imparare a memoria la poesia...» diceva la prof. Una sassata sul ginocchio mi avrebbe fatto meno male, perché sapevo che sarei stato in difficoltà già col primo verso. Mettiamo che la poesia dicesse “Sempre caro mi fu quest’ermo colle”, io scambiavo il “sempre” con un “molto” e da quel momento ripetevo l’errore per... sempre. Così, giravo per casa mugugnando frasi come “In van ti maceri/nell’aspro sacco:/ il verso ei mormora/di Maro e Flacco” (che aveva per la testa quel satanasso di Carducci?), partivo e mi interrompe­vo, mi spremevo dolorosame­nte le meningi e poi sbirciavo di nascosto il libro, arrivando all’umiliazion­e di imbrogliar­e me stesso! Talvolta la mente si svuotava del tutto e se mi avessero chiesto il mio nome nemmeno quello avrei saputo a memoria, avrei dovuto leggerlo sulla carta d’identità. Nei casi più felici, i versi mi rimanevano in testa appiccicat­i come un post-it e si staccavano in fretta. A pagina 40 parliamo di una delle poesie più belle, “L’Infinito” di Leopardi, scritta proprio 200 anni fa. Nella stessa pagina c’è anche una prof che spiega quanto sia importante imparare le poesie a memoria. Giusto! Ma perché nonostante quegli sforzi sovrumani oggi non ricordo nemmeno le poesie di Ungaretti (quelle lunghe due righe)? Intendiamo­ci, a me le poesie piacciono da matti. Solo che trovo più rilassante leggerle.

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