Adriano Celentano
SU CANALE 5 UN IMPERDIBILE SHOW CON SUPER OSPITI E TANTA MUSICA
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Lo show si intitola Adrian e porta la firma del più grande provocatore dello spettacolo italiano. Il primo degli influencer, come si dice oggi. Perché da sempre, quando canta e si muove sul palco, quando irrompe in tv con i suoi silenzi e le sue parole, lui sa stupire. Aspettatevi l’inimmaginabile, allora: pronti a mettervi in gioco?
Festival di Sanremo, 1961. Voltare le spalle alla platea in sala e a quella televisiva fu il suo gesto d’esordio come provocatore. La manifestazione canora già allora più popolare nel mondo era modello di eleganza, bon ton, perbenismo solenne. Quell’azione inaudita ruppe gli argini: da allora a Sanremo cominciò a succedere di tutto. E soprattutto da Adriano Celentano il pubblico iniziò ad aspettarsi l’inimmaginabile.
Influencer, il termine oggi in uso per indicare qualcuno in grado di condizionare in maniera rilevante le opinioni e gli atteggiamenti degli altri, gli si addice da quel momento. Neanche un anno dopo il clamoroso sgarbo sanremese, Celentano creò il Clan: una squadra di artisti-amici riuniti in un’etichetta discografica. L’idea era già venuta a Frank Sinatra, ma il Clan milanese si rivelò addirittura più intraprendente e innovativo rispetto al prototipo americano. I dischi pubblicati dal Clan erano perle di genialità già nella confezione: copertine policromatiche, apribili, con trovate stravaganti come la canzone affidata nel 1963 a Don Backy dal titolo che fece indignare battaglioni d’insegnanti di scuole dell’obbligo: “Ho rimasto”. «Un errore» si leggeva nella copertina «come pegno di una sfida tra Don Backy
e Celentano, una gara di nuoto all’Idroscalo di Milano. Lo sconfitto avrebbe dovuto inserire uno strafalcione nel testo». Una trovata pubblicitaria indispensabile per superare lo scoglio della rigorosa Commissione ascolti della Rai, che altrimenti non avrebbe consentito il passaggio radiofonico e televisivo di un brano con una sgrammaticatura tanto grossolana.
Il “Molleggiato” nel frattempo suggestionava il mercato della moda giovane lanciando i pantaloni a zampa d’elefante bicolore: scuri all’esterno, chiari nel cavallo. Nel 1966 il vivace provocatore espresse il primo dei suoi pensieri forti, l’ambientalismo: il processo di urbanizzazione delle città finì nel mirino della canzone “Il ragazzo della via Gluck”. Seguì nel 1970 il pensiero ecologista: nel retro di copertina della canzone “Viola” comparivano a tutto spazio la parola “merda” e una lettera aperta di Celentano ai suoi estimatori: «Il cemento, il mostro del secolo, lo sterminatore del verde, che mangia ossigeno a tradimento, ci inscatola sempre di più, ogni giorno che passa, come tante sardine». La copertina creò problemi con la censura e il disco fu ristampato senza la cubitale proclamazione fecale.
Il Celentano animalista ipnotizzò per 20 minuti il pubblico televisivo di
“Fantastico 8” nel 1987 imprecando contro i cacciatori e i pellicciai. Tutti proclami che anticipavano o pilotavano i gusti correnti piuttosto che seguirli. D’altronde Adriano non si è mai fatto scrupolo di marciare in controtendenza. Lo fece nel 1967, con “Tre passi avanti”, audace ritratto dell’universo beat, dall’ateismo alla moda dei capelli lunghi. E accanto ai proclami, sempre nuove idee che hanno fatto da battistrada a iniziative popolari. I cloni di “Tale e quale show”? Forse in pochi ricorderanno che nel 1995 per una pubblicità televisiva commissionata da Ferrovie dello Stato (oggi Trenitalia) Adriano Celentano coinvolse nove dei suoi migliori sosia. Sul piccolo schermo hanno suscitato di
volta in volta scalpore tanto i suoi sbalorditivi silenzi quanto le percussive interpretazioni di alcuni suoi successi: “Prisencolinensinainciusol” su tutti. Il disco nel 1972 scalò anche la hit parade negli Stati Uniti. Ancora oggi se ne parla perché viene considerato il primo rap della storia: nato come brano per sperimentare nuove sonorità, modulato da Adriano attraverso un mitragliante linguaggio “gramelot” (fatto di parole e suoni velocissimi e privi di significato), è diventato secondo la critica internazionale l’inno dell’incomunicabilità tra i popoli. Bel colpo per il più singolare dei comunicatori italiani che amava definirsi “Il re degli ignoranti” (album del 1991) per confrontarsi in pirotecnici accostamenti televisivi con intellettuali del calibro di Enzo Biagi o del fraterno amico Dario Fo, Premio Nobel per la letteratura. Attraverso il video il re degli influencer ha trasmesso messaggi divenuti memorabili come parabole e dogmi di cultura popolare. La distinzione lunapark-esistenziale tra Rock e Lento (l’amore, l’amicizia, il sesso, i blue jeans, la pietà, Paperino collocati nel serbatoio Rock; la pornografia, il silicone, il cannone, il doppiopetto, il conformismo, Topolino in quello Lento) entrò allora (il programma era “Rockpolitik” del 2005) ed è rimasta viva e attuale nell’immaginario. Pertanto dal nuovo spettacolo televisivo, neanche a dirlo, aspettiamoci concerti e sconcerti. Comunque sorprese. ■