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Ricorda il Natale della sua infanzia: «Eravamo poveri ma uniti» .....

«Niente regali e panettoni, quelle erano cose da ricchi. Però eravamo una vera bella famiglia» ricorda Massimo Ranieri

- di Stefania Zizzari

Non c’è l’albero di Natale. Non c’è il presepe. Nemmeno una lucina rossa. A casa di Massimo Ranieri, nome d’arte di Giovanni Calone, il Natale sembra passare inosservat­o. «Non l’ho mai festeggiat­o» sorride l’artista con una punta di malinconia. «In compenso però c’è il caffè appena fatto. Ne vuole?». E durante la nostra intervista a quella moka se ne aggiungerà un’altra. E un’altra. «Il caffè mi piace sorseggiar­lo tra una sigaretta e una chiacchier­a. Così si fredda e me ne faccio ancora uno».

Massimo, se le dico Natale cosa le viene in mente?

«“Natale in casa Cupiello”. Ha presente la commedia di Eduardo De Filippo? Ecco, la stessa povertà. Mi ricordo però che eravamo uniti, una vera bella famiglia. Nel freddo, perché non c’era il riscaldame­nto e si viveva col braciere sotto la tavola. Da mangiare ce n’era poco, molto poco. Un piatto di pasta, un pezzetto di capitone perché non era caro. Il panettone non potevamo permetterc­elo. A Sant’Anna di Palazzo, nella zona di Napoli dove vivevamo, c’erano le bancarelle con il pesce prelibato, i saraghi, i merluzzi… ma era qualcosa che non ci riguardava».

È per questo che il Natale non lo festeggia?

«Nella mia vita non ricordo i festeggiam­enti per il Natale: era una roba da ricchi e noi non avevamo niente. Come l’albero di Natale, chi l’ha mai avuto? Mio padre amava il presepe, ne faceva uno piccolino, ma l’albero costava troppo. Però cantavamo “Tu scendi dalle stelle” tutti insieme, con le stelline in mano (gli sfugge un sorriso, ndr)».

Di regali neanche a parlarne…

«I regali non entravano proprio nella nostra vita. La povertà è anche questo. Ricordo che mamma mi mandava da mio zio a chiedere se aveva mille o duemila lire da prestarci, e lui: “Guaglio’ vabbuo’. Ma ci sono pure le tremila lire dell’altra volta…”. Il “regalo” era quando ci facevano il prestito. O quando “segnavano”: un chilo di pasta o due uova… a pagare passavamo poi».

Massimo, non è possibile che non le sia mai stato fatto un regalo, anche piccolo.

«Beh sì. C’era la calza della Befana che trovavamo appesa in cucina. Eravamo otto fratelli, dentro non c’era granché: quattro caramelle, due cioccolati­ni… Quello era il regalo del periodo delle Feste».

E quando è cresciuto, il Natale ha cominciato a festeggiar­lo?

«No. I miei Natali li ho passati praticamen­te tutti in teatro a lavorare. Sia il 25 dicembre che a Capodanno. Con i miei ci facevamo gli auguri per telefono. Mamma: “Do’ stai?”. Io: “Mammà sto a Milano”. E lei: “E do’ mangi?”. E io “In albergo”. Non mi ricordo un

Natale passato a casa. Una volta, tanti anni fa, ero a Milano e avevo deciso di andare a Napoli per la sera del 24. Avevo un aereo alle 17 e a causa della nebbia sono arrivato a Napoli alle 6 del mattino dopo. Sono andato a casa, li ho salutati e me ne sono tornato a Milano dove avevo la pomeridian­a del 25 in teatro. Per una volta che avevo pensato di passare il Natale con la famiglia a Napoli…».

Lei ha cominciato a lavorare a 7 anni. Con i primi soldi guadagnati ha fatto un regalo a qualcuno?

«Sì. Ho regalato un fiore a mia madre. Avevo già 8 anni. Era una sterlizia, il fiore che preferiva. Ero rientrato tardi dal lavoro come al solito, sono andato da lei che dormiva, l’ho svegliata e le ho detto: “Mammà questo è per te. E lei: “Bello figlio mio, grazie. Mo’ però vai a durmi’ che è tardi”».

Però un albero di Natale nella sua vita ce l’ha avuto. È nella foto…

«Era il 1968, il primo Natale che passavo a Roma. Da Sorrisi mi proposero: “Facciamo un servizio fotografic­o con l’albero di Natale”. E io: “Nun lo tengo”. “Ci pensiamo noi” risposero. E mi hanno portato

quell’albero già bello e addobbato. Io mi sono messo in posa là vicino. Poi l’albero me lo hanno lasciato… (ride)».

Come trascorrer­à questo Natale?

«Stavolta in famiglia a Napoli. Noi fratelli viviamo in città diverse e per l’occasione ci ritroverem­o».

Con un bel cenone?

«Certo! È una specie di rivalsa sulla povertà. Per un giorno possiamo godere di una cosa che ci è stata negata tanti anni fa. E stavolta oltre al capitone ci saranno pure gli spaghetti alle vongole e il pesce che compreremo alle bancarelle di Sant’Anna di Palazzo (sorride)! Sapesse quanto mi piace perdermi tra il profumo, il calore, l’amore, la gioia, l’allegria che si respira in quella strada, che è quella dove io andavo a scuola e dove poi lavoravo da bambino come fruttivend­olo».

Ma ha cominciato in osteria.

«Sì, a 7 anni portavo il vino ai tavoli. Poi ho fatto il fruttivend­olo, ho lavorato al bar e poi ho raccolto l’immondizia. Avevo 9 anni, con mio fratello ci alzavamo prestissim­o e andavamo a raccoglier­e la spazzatura casa per casa, piano per piano, palazzo per palazzo. Senza ascensore, che fatica! Però si guadagnava bene. Arrivato a 12 anni ho cominciato a fare le feste di piazza, con mio padre appresso che mi faceva da tutore».

Era un bambino con la testa sulle spalle?

«Anche troppo. Mi sarebbe piaciuto essere un po’ più “scugnizzo”. I miei fratelli erano degli attaccabri­ghe e facevano scazzottat­e per strada».

Anche lei?

«Macché, io la boxe la amo, mi appassiona, ma a pugni con qualcuno non ho mai fatto. Ero un tipo pacifico. E poi avevo sempre da lavorare».

Ma la passione per la boxe le è rimasta: c’è quel sacco che pende dal soffitto…

«È vero. Mi alleno ogni tanto. Avrei voluto anche fare il boxeur nella vita, ma mio padre mi scoraggiò: “Guaglio’, i cazzotti fanno male”».

Il 25 la vedremo in television­e al “Concerto di Natale da Assisi”.

«Sì, canterò due brani: “Quanno nascette Ninno” (“Tu scendi dalle stelle”

in napoletano, ndr) e “Che notte è”, una canzone mia sul Natale che ho inciso tanti anni fa e che nessuno conosce».

E dopo?

«Il 31 dicembre e il primo gennaio sarò all’Auditorium della Conciliazi­one di Roma con “Sogno e son desto 500 volte”, spettacolo che porterò in tour fino a maggio. Il 22 e 23 febbraio andrò invece in scena ad Avellino con lo spettacolo “Malìa - Notti splendenti”».

E c’è il suo nuovo disco in uscita.

«Sì, è quasi pronto. Un disco di inediti dopo 25 anni dall’ultimo lavoro. Sono 12 brani scritti per me, tra gli altri, da Fossati, Pagani, Avitabile. Uscirà a fine marzo dopo Sanremo».

A proposito di Sanremo…

«Non ci tornerei in gara perché… sono vecchio ormai. Però se mi invitasser­o come ospite andrei molto volentieri». ■

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Massimo Ranieri
(68). A destra, con il papà Umberto nel 1968. «Eravamo nella prima casa che presi in affitto a Roma» ricorda. «L’albero di Natale me lo regalò Sorrisi».
DAL SUO ALBUM PRIVATO Massimo Ranieri (68). A destra, con il papà Umberto nel 1968. «Eravamo nella prima casa che presi in affitto a Roma» ricorda. «L’albero di Natale me lo regalò Sorrisi».
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