Per 20 anni è stato lo show che portava la pubblicità in tv
Vi raccontiamo i segreti dello storico programma che per primo ha portato la pubblicità in televisione
Più di 25 milioni di italiani non erano ancora nati quando, il 1º gennaio 1977 dopo quasi 20 anni, si chiuse per sempre il sipario di “Carosello”. Per loro è difficile immaginare come una serie di scenette pubblicitarie abbia scritto la storia della televisione e contribuito a cambiare le abitudini degli italiani. È incredibile l’elenco di attori, registi, autori, sceneggiatori, cantanti che vi hanno lavorato, centinaia di nomi famosi. E poi cartoni e pupazzi diventati celebri. Indispensabili perché il pubblico era per quasi la metà di bambini.
Per fare questo, “Carosello” attinse ai generi in cui l’Italia era maestra: rivista, avanspettacolo, commedia appunto all’italiana. E a quelli in cui cominciava a cimentarsi con profitto: il western, lo sceneggiato, il cartone animato. “Carosello” fu l’appuntamento con tutti questi generi in miniatura, mentre nelle case il boom economico portava elettrodomestici, prodotti per la pulizia, per la cucina, per ogni comfort. La famosa frase «a letto dopo Carosello» non era una minaccia, un premio o un obbligo: era il riconoscimento che a un bambino non si poteva negare quello straordinario divertimento quotidiano.
Si parlavano i dialetti
Negli anni di “Carosello“molti italiani conoscevano il dialetto più della lingua nazionale e i personaggi dialettali assumevano un aspetto simpatico, divertente, a volte anche comico. Gilberto Govi interpretava il portiere Baciccia in puro genovese, come pure Capitan Trinchetto. Il cavallo Derby cui «scappava sempre la parolina» aveva la voce di Alighiero Noschese che imitava Alberto Sordi; e romaneschi erano «Bice (Valori) racconta e dice» e Caio Gregorio «er guardiano der Pretorio». Macario col signor Veneranda parlava piemontese, e così Salomone pirata pacioccone, famoso per la battuta «porta pasiensa». Ernesto Calindri e Franco Volpi, in abiti ottocenteschi, brindavano «non dura, düra minga» in milanese. Calimero aveva un accento veneto, come il troglodita Foresto che incontrava il vigile Concilia, siciliano. Toro Annibale, fidanzato della Mucca Carolina, era emiliano. El Merendero era un misto veneto-spagnolo, con l’indimenticabile battuta «Miguel son mi». E «Son mi» annunciava anche il Caballero dal baffo che conquista, alla ricerca dell’amata Carmencita.
L’origine dei nomi più famosi
Il pulcino nero fu chiamato Calimero dalla chiesa di San Calimero a Milano in cui s’era sposato uno dei suoi inventori. Pippo, il pachiderma blu dei pannolini, era assonante con ippopotamo. I nomi erano scelti per lo più per le rime: «Cimabue, fai una cosa ne sbagli due», «Camillo il coccodrillo», «Susanna tutta panna», «Salvador el Matador». Poi si giocava con le parole: Jo Condor, il rapace vestito da militare che veniva punito dal Gigante amico, lamentava: «E che c’ho scritto Giocondo?».
Qualcun altro era senza nome: è il ca
so dell’Omino coi baffi, in realtà nato come “signor Alfonso”: quando parlava le parole gli scorrevano velocemente, lettera dopo lettera, all’altezza della gola, una specie di sottotitoli.
Furono trasmessi 33 mila sketch
Carosello è andato in onda per 19 anni e 11 mesi, dal 3 febbraio 1957 al 1º gennaio 1977: ben 7.261 volte, con oltre 33 mila sketch. Ogni puntata conteneva 4 spazi pubblicitari (poi 5 e infine 6), per 12 minuti complessivi. Gli sketch,
sempre diversi ma con gli stessi personaggi, duravano 2 minuti e 15, di cui 105 secondi senza nominare o mostrare il prodotto e 30 per la pubblicità vera e propria (il “codino”). Il marchio poteva apparire o essere nominato solo sei volte. Nel 1957 la tv aveva appena 366 mila abbonati. Nel 1976 Carosello contava 19 milioni di spettatori, 9 dei quali erano bambini. Il materiale girato ogni anno era paragonabile a 80 film, pari al 57% della produzione cinematografica italiana. ■