La concessione del telefono
Da un romanzo di Camilleri un film tv con Alessio Vassallo
Q «uesto virus ci ha scassato i cabasisi, avrebbe detto Andrea Camilleri. E allora prendiamo il pubblico per mano e lo portiamo a Vigata» dice Alessio Vassallo, protagonista di “La concessione del telefono”, il film tv tratto dal romanzo storico di Camilleri, terzo capitolo del ciclo “C’era una volta Vigata”.
Alessio, Vigata è un luogo magico, ancor più inarrivabile ora che siamo costretti a rimanere in casa.
«Per me è una specie di “Isola che non c’è” di Peter Pan. Ho avuto la fortuna di approdarvi per quattro volte: due con “Il giovane Montalbano”
una con “La stagione della caccia” e ora con “La concessione del telefono”. E ogni volta che vado via da lì ne sento subito la nostalgia».
Camilleri è riuscito a renderla quasi reale.
«Io sono di Palermo ed è capitato che dei turisti mi chiedessero: “Vigata esiste?”. Ho sempre risposto di sì perché è un luogo dell’anima e del cuore. Quindi... esiste!».
In questo caso lei c’è stato da protagonista del racconto di “La concessione del telefono”.
«Sì. Pippo Genuardi è un commerciante di legnami, ricco grazie ai soldi del suocero. Pippo vuole avere una seconda linea telefonica a casa. Inizia a scrivere al prefetto e a tutti quelli che pensa lo possano aiutare, ma da queste lettere parte una serie di equivoci che portano addirittura a pensare che lui stia complottando per fare un colpo di Stato. Da un episodio banale si ingigantisce tutto e viene scoperchiato un vaso di Pandora da cui escono fuori le fragilità, i difetti, i vizi dell’essere umano. Il racconto mette sotto la lente di ingrandimento la stupidità umana e la stupidità della burocrazia dello Stato: quando le due si incontrano, poi succede di tutto. E pensare che lui voleva la linea telefonica solo per motivi... non lo anticipo, vedrete quante sorprese! La forza del personaggio di Pippo è quella di essere totalmente vittima degli eventi. E la bellezza è che ha mille colori: si passa dalla commedia al dramma, con un cambio netto da una scena all’altra».
Come si è trovato catapultato alla fine dell’Ottocento?
«È stato molto divertente. Ho pure guidato un quadriciclo a motore».
Un quadriciclo a motore?
«Sì, una specie di macchina ante litteram. È venuto un esperto da Londra per spiegarmi come guidarla. Ha presente quelle barchette con il timone a barra che si affittano d’estate al mare? Ecco, il funzionamento era più o meno lo stesso. Divertimento a parte, sono davvero molto legato a questo film».
Come mai?
«Innanzitutto perché una novità è che ha un grande re
spiro di immagine rispetto ai precedenti: per la prima volta, oltre che nella Sicilia orientale, abbiamo girato anche a Palermo, che è la mia città. Nelle due settimane di riprese me la sono vissuta da
turista, con mio papà che mi veniva a trovare sul set. Poi questo è il mio primo film da protagonista. E infine perché “La concessione del telefono” è, tra i suoi, il romanzo che Camilleri amava di più. È l’ultima sceneggiatura che ha firmato prima di andarsene». L’ha conosciuto?
«Sì, ho avuto la fortuna di conoscerlo e di confrontarmi con lui, una cosa che potrò raccontare ai nipoti: Andrea
Camilleri è uno dei più grandi autori del Novecento».
Ci regala un suo ricordo?
«L’ultima volta che l’ho visto è stato al Campidoglio, a Roma, quando gli diedero la cittadinanza onoraria di Agrigento. Ho avuto l’onore di leggere la motivazione. Ricordo che andai da lui, gli porsi la pergamena e gli dissi: “Andrea, sono Alessio, sono il giovane Mimì”. Lui, che già non vedeva bene, mi mise le mani in viso e mi disse: “Mimì, stai diventando grande…”. Quelle mani sul mio volto le porterò per sempre con me come una benedizione». ■