IL PIATTO È STATO CREATO PER LA REGINA MARIA CAROLINA
Ha più di 300 anni e non li dimostra perché il sartù è un piatto complesso per stomaci giovani e forti. Ma com’è nato questo celebre timballo della tradizione partenopea? Il riso è arrivato a Napoli con gli Aragonesi, nelle stive delle navi spagnole. Ma i napoletani, che amavano i maccheroni, non si entusiasmarono per questa novità perché non lo consideravano appetitoso. Anzi, la scuola medica salernitana consigliava il riso “scaurato” (scaldato, bollito) in caso di problemi intestinali, tanto che l’ingrediente si meritò l’appellativo di “sciacquapanza”. Solo nel Settecento il popolo iniziò ad apprezzarlo, all’epoca dei Borbone. La regina Maria Carolina, originaria dell’Austria e schizzinosa nei gusti, aveva fatto arrivare dalla Francia, consigliata dalla sorella Maria Antonietta, un folto gruppo dei migliori cuochi francesi, detti i “Monsieur”, che i napoletani ribattezzarono “monsù”. Gli chef decisero di condire il riso con la “pummarola”, di mescolarlo con ingredienti tipici della cucina napoletana e di presentarlo in modo sontuoso. Nacque così il sartù: il nome deriva dal francese “sur tout” cioè che sta “sopra tutto”, come il mantello di pangrattato che lo ricopre e come il centrotavola sontuoso su cui era servito. Fu un successo. Da allora il piatto trionfa nelle tavole dei napoletani. E oggi lo vediamo anche nelle fiction ambientate sotto il Vesuvio.
In “Vivi e lascia vivere” è protagonista assoluto. Ma fa capolino anche nella soap “Un posto al sole”, preparato “alla Jurdàn”, ovvero secondo la ricetta di Raffaele Giordano (l’attore Patrizio Rispo), il portinaio di Palazzo Palladini. Nella serie “I Bastardi di Pizzofalcone”, invece, la ristoratrice Letizia (Gioia Spaziani) serve all’ispettore Lojacono (Alessandro Gassmann) una porzione di sartù per fargli un test psicologico: «Tu stasera stai nervoso, perché hai scartato tutti i piselli» gli dice.