Un delitto perfetto
Anni fa ho accettato di fare una gita con dei conoscenti per visitare una certa grotta vicina a casa mia in Toscana: «Ma mi raccomando, Aldo: nessuno sa che esiste, né deve saperlo. L’abbiamo scoperta noi ed è un segreto» disse il caposquadra mentre mi spingeva con forza per le spalle cercando di infilarmi in un buco strettissimo. La grotta era buia e faceva molto freddo. C’erano tante stalattiti e stalagmiti da ammirare (loro) e su cui inciampare e battere la testa (io). Sarei tornato volentieri in superficie, ma i miei amici speleologi non erano mai sazi di anfratti da perlustrare. Così la gita che doveva durare una mattina mi fece perdere un giorno intero (compresa la partita, perché era domenica). Non sto a raccontarvi la fatica per tornar su da quel buco, né la paura che mi prese quando tutti erano già fuori e io non riuscivo ad aggrapparmi alla roccia: da quando in qua si lascia per ultimo il più inesperto? O fu, come pensai in seguito, un tentato omicidio? Un delitto perfetto: se nessuno sapeva dell’esistenza di quella grotta, quando mai mi avrebbero ritrovato? Alla fine non so come riuscii a rivedere le stelle, ma giurai a me stesso che non sarei mai più sceso in una grotta. E non cambierei idea nemmeno se mi invitasse il mio amico Roberto Giacobbo (che ci parla di spedizioni sotterranee a pag. 36). Anche se in quel caso non dovrei avere problemi a superare i pertugi più stretti: se ci passa lui che è alto due metri...