I SEGRETI del CELLULARE
« Pota, il Dna conta», ha detto il fratello di MASSIMO BOSSETTI alla madre, dopo aver scoperto di non essere neppure lui figlio dell’uomo che li ha cresciuti. A quasi cinque anni dall’omicidio di YARA GAMBIRASIO, parte il processo all’unico imputato. Al c
Quando il prossimo 11 settembre riprenderà il processo a Massimo Bossetti, imputato dell’omicidio di Yara Gambirasio, le udienze entreranno nel vivo della vicenda. A cominciare dalla testimonianza di Maura Panarese, la madre di Yara, davanti ai giudici sfileranno tutti i protagonisti e i comprimari di questa inchiesta, unica nel suo genere per complessità, lunghezza e mole dei documenti, 60 mila pagine divise in 59 faldoni. Leggere le carte significa intraprendere un viaggio che inizia con immagini molto crude, quello del corpo in avanzato stato di decomposizione di una ragazzina di 13 anni che era alta un metro e 50, pesava 47 chili, portava un apparecchio per i denti, indossava una felpa Hello Kitty e che qualcuno ha accoltellato nove volte: sul petto, sul dorso, sul collo, a una gamba e ai polsi, lasciandola poi morire di freddo, e probabilmente dissanguamento, in un campo di sterpaglie della Bergamasca, in pieno novembre. Un particolare fa soprattutto pensare a quell’agonia: le mani. Le dita sono contratte sul palmo, come se stringessero la vita che se ne va. Poi ci sono le carte con gli esami scientifici, gli interrogatori, le intercettazioni telefoniche e ambientali che non solo hanno portato a identificare in Massimo Bossetti colui che ha lasciato le proprie tracce di Dna sui leggings e sugli slip di Yara, ma che hanno anche dovuto indagare il suo contesto familiare e di lavoro. La ragione è molto semplice. Bossetti si è sempre proclamato innocente, ma non è mai riuscito a spiegare perché il suo sangue sia finito lì e che cosa fece quel 26 novembre 2010 in cui Yara scomparve. Le prove a suo carico sono pesanti, le sue contraddizioni numerose, però manca un movente. Perché un muratore di 40 anni, tanti ne aveva Bossetti nel 2010, incensurato, sposato, con tre figli e una famiglia di origine come tante, una sera dovrebbe avventarsi su una ragazzina poco più grande di suo figlio maggiore? Quali demoni si nasconderebbero nel suo animo? Quali potrebbero essere le ragioni nascoste di un tale gesto? Gli inquirenti hanno indagato, si sono trovati di fronte a molte omertà e a convinzioni granitiche che poi i fatti hanno smentito. Soprattutto, hanno dovuto togliere il coperchio a segreti di famiglia che nessuno prima aveva mai osato pensare, figurarsi rivelare. In questo contesto la figura più enigmatica, quella attorno alla quale potrebbero ruotare le ragioni profonde di questo delitto, è Ester Arzuffi, la madre di Massimo Giuseppe Bossetti, la donna che continua a negare le evidenze più schiaccianti. La madre di Bossetti nasce a Villa d’Ogna, in Val Seriana, il 23 febbraio 1947. Terminate le scuole elementari va a lavorare come operaia alla Festi Rasini, importante manifattura tessile locale, per circa sette anni. È una bella ragazza, volitiva e con gli occhi azzurrissimi. Nel 1966 si sposa con Giovanni Bossetti, che lavora in un altro stabilimento tessile a Ponte Selva, 12 chilometri più a sud, dove i due vanno a vivere. Per andare a lavorare Ester ogni mattina esce di casa alla 5,30. Due volte a settimana, quando non c’è la corriera, la passano a prendere Giuseppe Guerinoni e il suo amico Vincenzo Bigoni che vivono a Parre, una frazione vicina. Sono autisti di pullman e devono fare la stessa strada di Ester. È normale chiedersi favori tra conoscenti. Ester Arzuffi ha dichiarato che fu proprio suo marito a chiedere quel piacere a Guerinoni e a Bigoni, un po’ perché a quel tempo già non stava molto bene, un po’ perché prima di
sposare Ester era stato innamorato della sorella di Vincenzo. Nella primavera di tre anni dopo, nel ’69, Ester e Giovanni decidono di trasferirsi a Brembate di Sopra, in via delle Rose 24, cinquanta chilometri a sud, anche perché lui viene assunto alla Philco di Ponte San Pietro, a 3 km da Brembate, dove Ester comincia a lavorare come collaboratrice domestica. Abiteranno lì per circa 35 anni. Massimo Giuseppe e la sorella gemella Laura Letizia nascono il 28 ottobre 1970. Se, come dice Ester, lei partorisce con un mese di anticipo, significa che resta incinta nel febbraio del ’70, quando i passaggi di Guerinoni sono finiti da un anno. Ma le relazioni di amicizia e conoscenza possono continuare, anche perché a Piario, in Val Seriana, vive la sua famiglia di origine, e che lei mantenga un contatto con quei luoghi lo dichiara lei stessa, lo dimostra anche il fatto che non partorisce a Brembate o nei dintorni, ma nell’ospedale di Clusone che è vicino a Villa D’Ogna. «Lì c’era il mio ginecologo», ha detto Ester Arzuffi. È una spiegazione più che plausibile che però non basta a smentire i test del Dna, secondo i quali Massimo Bossetti e sua sorella sono figli biologici di Giuseppe Guerinoni. Ora, come ha più volte detto Marita Comi al marito, «tua madre avrà fatto una «Lei ha mai avuto rapporti sessuali o comunque un rapporto sessuale occasionale con Guerinoni Giuseppe?», ha risposto: «No, non credo proprio. Non sono mai stata quel tipo di donna. Ci penso, ma non ricordo assolutamente». Molte cose una donna può dire dei suoi amori e delle sue esperienze sessuali, ma non: «Non ricordo, non mi Anche lui è stato concepito con un altro uomo, che però non è Guerinoni. Dalle testimonianze raccolte fra persone che hanno conosciuto i Bossetti a Brembate, si scopre che Ester era molto «chiacchierata». Si parla di «frequentazioni che avvenivano all’interno dell’appartamento». Si specifica addirittura che un residente, citato con nome, cognome e indirizzo, «confidandosi riferiva di aver avuto una sorta di ricatto da parte della madre di Bossetti Massimo, in quanto la stessa lo minacciava di far sapere a sua moglie che egli era solito frequentare l’appartamento in questione ove intratteneva una relazione con la sig.ra Arzuffi». Altri confermano e aggiungono che «in paese la famiglia Bossetti era chiacchierata per le frequentazioni». Qualcuno addirittura specifica nomi e cognomi di alcuni uomini fra cui il gestore di un bar, un impresario e un uomo che spesso parcheggiava sotto casa loro una Fiat 1100 e saliva dai Bossetti con pacchi regalo. Chi è davvero Ester Arzuffi? Una moglie che vuole salvare la faccia di fronte al marito? Difficile crederlo, anche perché Giovanni Bossetti ha smesso di lavorare a 38 anni, quando gli fu diagnosticata una malattia invalidante, e quindi stava molto in casa. È una madre che non vuole si scopra in che contesto sono cresciuti i figli? Ma è possibile che i bambini non abbiano mai intuito nulla o sentito voci in paese? E se questo è successo, che influenza ha avuto questa situazione familiare sulla loro personalità e sulla loro crescita? Di certezze ce n’è solo una, e riguarda il non detto. In questa famiglia la prassi è negare l’evidenza dei fatti con molti «Non so. Non ci credo. Non è possibile». L’unico disposto ad avere dubbi è stato Fabio, che non si è stupito di non essere figlio di Giovanni Bossetti e che, la sera del 17 giugno 2014, quando tutti sono in procura in attesa di essere interrogati, dice alla madre, convinta dell’innocenza del figlio Massimo: «Pota, ma il Dna dice che è così… non possono mica sbagliare, non si sbagliano con il Dna… Lo dice la scienza».