Vanity Fair (Italy)

Ritorno al normale

Basta con il futuro, la politica e i grandi cattivi: i nuovi romanzi distopici rivalutano il passato

- Di MICHELE NERI

a tradizione delle storie distopiche che, dai tempi dei Viaggi di Gulliver (eravamo nella prima metà del ’700), inventa apocalitti­ci mondi paralleli, sta vivendo una nuova stagione. Con una differenza: invece che su futuro (come in 1984 di George Orwell), politica (Il tallone di ferro di Jack London) o «cattivoni» (vedi il presidente Snow di Hunger Games), i nuovi romanzi distopici puntano sul desiderio di normalità. A brillare sono la nostalgia del passato e i sentimenti perduti, mentre la «minaccia» che tutto questo ha sottratto resta quasi sempre in secondo piano. Stazione undici (Bompiani, pagg. 408, € 19,50; trad. di Milena Zemira Ciccimarra), della canadese Emily St. John Mandel, è un affresco delicato del pianeta in cui una misteriosa influenza, la «Georgiana», ha sepolto in poche settimane due terzi dell’umanità. A dare speranza, in un mondo «senza» («niente più farmaci... niente più timorose speranze»), è la strabilian­te carovana dell’Orchestra Sinfonica Itinerante. In viaggio per un mondo primordial­e, grazie a Shakespear­e mantiene in vita la cultura. Più di un’analogia lega il romanzo di Mandel al libro per ragazzi di Fabio Geda e Marco Magnone: Berlin - I fuochi di Tegel (Mondadori, pagg. 200, € 14) appena uscito in Italia. Ambientato in una Berlino deserta del 1978, eco del Signore delle mosche di Golding, descrive la lotta per la sopravvive­nza di cinque bande di adolescent­i la cui vita è minacciata da un virus che annienta chiunque compia i 16 anni. La giovane Christa, con l’aiuto di Jakob, ha la missione di salvare il piccolo Theo, rapito e tenuto prigionier­o nei pressi dell’aeroporto di Tegel messo a fuoco da un gruppo di violenti. Come a dire: a salvarci saranno i ragazzi. E, perché no, anche la cultura.

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