Ritorno al normale
Basta con il futuro, la politica e i grandi cattivi: i nuovi romanzi distopici rivalutano il passato
a tradizione delle storie distopiche che, dai tempi dei Viaggi di Gulliver (eravamo nella prima metà del ’700), inventa apocalittici mondi paralleli, sta vivendo una nuova stagione. Con una differenza: invece che su futuro (come in 1984 di George Orwell), politica (Il tallone di ferro di Jack London) o «cattivoni» (vedi il presidente Snow di Hunger Games), i nuovi romanzi distopici puntano sul desiderio di normalità. A brillare sono la nostalgia del passato e i sentimenti perduti, mentre la «minaccia» che tutto questo ha sottratto resta quasi sempre in secondo piano. Stazione undici (Bompiani, pagg. 408, € 19,50; trad. di Milena Zemira Ciccimarra), della canadese Emily St. John Mandel, è un affresco delicato del pianeta in cui una misteriosa influenza, la «Georgiana», ha sepolto in poche settimane due terzi dell’umanità. A dare speranza, in un mondo «senza» («niente più farmaci... niente più timorose speranze»), è la strabiliante carovana dell’Orchestra Sinfonica Itinerante. In viaggio per un mondo primordiale, grazie a Shakespeare mantiene in vita la cultura. Più di un’analogia lega il romanzo di Mandel al libro per ragazzi di Fabio Geda e Marco Magnone: Berlin - I fuochi di Tegel (Mondadori, pagg. 200, € 14) appena uscito in Italia. Ambientato in una Berlino deserta del 1978, eco del Signore delle mosche di Golding, descrive la lotta per la sopravvivenza di cinque bande di adolescenti la cui vita è minacciata da un virus che annienta chiunque compia i 16 anni. La giovane Christa, con l’aiuto di Jakob, ha la missione di salvare il piccolo Theo, rapito e tenuto prigioniero nei pressi dell’aeroporto di Tegel messo a fuoco da un gruppo di violenti. Come a dire: a salvarci saranno i ragazzi. E, perché no, anche la cultura.