Vanity Fair (Italy)

GIORNATA DELLA CIVILTÀ

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conferma che siamo in guerra, una guerra folle con giovani uomini che si fanno saltare in aria per uccidersi e per ucciderti. A pranzo mio figlio grande che tornava da scuola ci aveva letto il comunicato scritto col suo Collettivo: frasi che abbiamo detto e sentito troppe volte, di denuncia, di condanna di ogni forma di violenza e terrorismo. Perché mi stringevan­o lo stomaco? Perché sappiamo a quanto poco servano? Eppure vanno pensate, vanno dette. era calata la nebbia, e con la nebbia un grigio umido e triste. C’era poca gente in piazza Fontana, spiace dirlo. Il bisogno di purificazi­one e commozione collettiva che sentivamo tutti non c’è stato. Un paio di bandiere francesi, una arcobaleno, molti profession­isti di questo tipo di riunioni, un impianto di amplificaz­ione che non funzionava. Poca società civile, diversi anziani, ragazzi dall’aria baldanzosa con uno striscione: «Guerra e terrorismo facce della stessa medaglia, Not in My Name». A mia figlia per fortuna ho potuto indicare tre ragazze musulmane coi colori francesi e un altro cartello, un versetto del Corano: «Chiunque uccida un uomo sarà come se avesse ucciso l’umanità intera». Attorno a loro c’erano gesti e sguardi gentili. Il 15 novembre, in place de la République, una ragazza offre «abbracci gratis» ai manifestan­ti contro

il terrorismo. Ho ripensato all’amara coincidenz­a delle stragi nella giornata della gentilezza. Ora sembra che vada tutto a rotoli, che il mondo sia un malato terminale, che i problemi dei Paesi più poveri e arretrati, delle banlieue, del fanatismo violento siano irrisolvib­ili. Eppure per sopravvive­re bisogna credere che, se la civiltà fa passi indietro, alla lunga ne farà soprattutt­o in avanti.

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