CERCAR CONSENSI
Per interposta tragedia
a continenza verbale, di fronte a eventi macroscopici e tragici come quello di Parigi, imporrebbe almeno qualche minuto di riflessione. Non mi riferisco alla valanga di tweet e aggiornamenti di status su Facebook delle persone normali nelle ore successive agli attentati, che reagiscono come possono e credono: non è lì che si selezionano i Churchill che oggi mancano all’Europa. Ma chi ha compiti politici e istituzionali dovrebbe, quantomeno, astenersi, o magari parlare solo dopo avere avuto il buongusto di capire meglio che cos’è successo, evitando di aggrapparsi alla prima citazione di Oriana Fallaci. La prima Ansa da Parigi su «una sparatoria a colpi di kalashnikov» è delle 22.04. Alle 22.54 Matteo Salvini o chi per lui era su Facebook (le maiuscole sono originali): «Attentati e sparatorie a Parigi, 26 MORTI, feriti e ostaggi. Purtroppo ho un timore: TERRORISTI ISLAMICI??? Se così fosse, subito controlli a tappeto, blocchi ed espulsioni!». A mezzanotte e dodici, Salvini coinvolgeva già il governo italiano via Twitter: «#Hollande: “Chiudiamo le frontiere”. E #Renzi? Dorme». Il paradosso è che mentre Salvini twittava a ripetizione contro chiunque, Marine Le Pen in Francia annunciava, semplicemente, la sospensione delle manifestazioni per la campagna elettorale delle elezioni regionali che si terranno a dicembre. Un tweet che è stato condiviso proprio dal segretario leghista prima di ricominciare ad attaccare Renzi. Ma non c’è solo Salvini a fare sciacallaggio politico. Persino il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri le istituzioni hanno ancora un significato, per favore scriveva forsennatamente: «Parigi, ancora arabi? Si risponde con cortei o con leggi marziali? Intanto sterminare Isis,
Lsi può fare in un quarto d’ora. Se si vuole». E giù richieste di bombardamenti, come se far partire un razzo (dove? come? quali sono gli obiettivi? Salvini e Gasparri se le fanno queste domande o se fossero nelle condizioni di farlo si metterebbero a sparare all’impazzata?) fosse semplice come schiacciare il pulsante like su un social network. Uno dirà: ma perché occuparsi dell’incontinenza verbale dei populisti? Perché hanno ruoli politici e di governo, rappresentano migliaia di persone ed è anche così che cercano consenso: per interposta tragedia francese. Giudicare quello che dicono, persino quando si tratta di cose assurde, è legittimo, e per farlo bisogna che si sappia che cosa dicono e come lo dicono. Anche perché le réclame salviniane creano confusione e oscurano le richieste ferme che dobbiamo fare ai fratelli islamici, peraltro coinvolti in conflitti che si stanno facendo tra di loro. Non ci sentiamo in guerra con l’islam, ma che siamo in guerra è (ormai) evidente a tutti. «Non c’è una guerra di religione in Europa. C’è un disegno violento e brutale i cui scopi non sono chiari. Vorrei che il mondo musulmano si dissociasse a voce alta per una condanna decisa del terrorismo, anche se sembra difficile unificare tutte le voci», dice il presidente Cei Angelo Bagnasco. Non possiamo essere tolleranti con chi è intollerante e «Je suis Paris» rischia di essere solo un momentaneo esercizio retorico. Il problema di cui parla Bagnasco a unificare tutte le voci non è da poco. Nell’islam non esistono gerarchie ecclesiastiche. Le condanne però continuano ad arrivare. Izzedin Elzir, l’imam di Firenze, che è anche presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, ha detto che «questi atti terroristici colpiscono l’islam. È una bestemmia usare il nome di Dio invano per uccidere un’altra vita umana». La Lega Araba ha condannato gli attacchi, così come l’Organizzazione per la Conferenza islamica, la Federazione delle organizzazioni islamiche in Europa, l’imam di Al Azhar e Ahmed al Tayyeb, il centro teologico più importante dell’Islam sunnita. Undici moschee di Marsiglia, dove il 30 per cento della popolazione è musulmana, hanno lanciato un appello alla solidarietà. Cari fratelli musulmani, fate sentire la vostra voce. Ancora più forte.