Vanity Fair (Italy)

Quando Elvis mi lasciò un «ricordino»

Esce un disco che è la colonna sonora della vita di TOM JONES. E qui ce la racconta, tra episodi surreali e piogge di mutandine

- Di CHIARA MEATTELLI

bito scuro, risata contagiosa, occhi azzurri fissi sull’interlocut­ore. «Adoro chiacchier­are: sono pur sempre un gallese!», scherza Tom Jones, 75 anni, da una suite del Savoy Hotel di Londra. Una voce dalla potenza magnifica e l’arte di saper riconoscer­e all’istante il suono di una hit gli hanno garantito una carriera di oltre cinquant’anni durante i quali Sir Thomas Jones Woodward ha toccato ogni possibile genere. Dopo essere stato per tre anni coach nel The Voice inglese, realizza Long Lost Suitcase in cui interpreta, dai Rolling Stones a Hank Williams, le canzoni della vita. In parallelo pubblica l’autobiogra­fia Over the Top and Back (già best seller nel Regno Unito), dagli aneddoti sugli amici John Lennon e Frank Sinatra a quelli sulla sua numerosiss­ima famiglia working-class della minuscola cittadina di Pontypridd.

APerché scrivere un’autobiogra­fia? «Volevo dare la mia versione dei fatti. Volevo parlare dei primi 24 anni di vita passati in Galles, quando si è formato il mio carattere. A Pontypridd tutti cantavamo di continuo». È sposato da 58 anni con la compagna di scuola Linda Trenchard e le sue scappatell­e (ha ammesso di avere avuto allÕapice della carriera oltre 250 donne, ndr) sono state di dominio pubblico: qui però non ne parla, perché? «Se ne è già detto fin troppo. Un libro di gossip vale poco e lo si dimentica, ma soprattutt­o non dice nulla su chi io sia veramente o come sia arrivato fino a qui o su cosa abbia fatto battere il mio cuore». La sua voce acquista potenza con gli anni: qual è il segreto? «Anch’io la sento ancora più intensa e ricca di una volta. Bevo meno alcol e più acqua. E mangio queste pasticche (dal taschino della giacca estrae una confezione di Vocalzone, ndr). Me le ha consigliat­e un cantante d’opera nel 1965, erano state create per Enrico Caruso da un dottore gallese, ironico non crede?». Nel disco canta Elvis Presley Blues e nel libro fa cenno a un episodio bizzarro: è vero che il Re del Rock si è fermato nel suo camerino per un «bisognino»? «Elvis (a destra, con Jones e la moglie Priscilla) era fissato con una canzone che credeva fosse perfetta per me, così è entrato per cantarmela ma ero sotto la doccia e gli ho chiesto di aspettare. Lui ha continuato fino a quando ho sentito un cambiament­o nell’intonazion­e, come se si stesse sforzando... Quando sono uscito dalla doccia mi accorgo che aveva usato il gabinetto: lo trovo con i pantaloni calati che si puliva il didietro. Il tutto senza smettere di cantare. Si è fermato solo per chiedere al suo assistente di aiutarlo con i pantaloni. Una scena surreale». Perché doveva essere aiutato? «Non era affatto facile: erano pantaloni di pelle North Beach, con molti lacci. Li avevo uguali anche io, li usavamo tutti all’epoca». Lei è stato considerat­o un sex symbol della musica: ne è lusingato? «Purtroppo a un certo punto la mia immagine è diventata più importante del talento, quindi non ho più incoraggia­to certi comportame­nti, come raccoglier­e le mutandine lanciate sul palco». Eppure c’è chi gliele lancia ancora... «Sì, ma per fortuna non più come una volta. E poi da quando hanno cominciato a portarle in borsetta invece che toglierle, la cosa ha perso l’aspetto sexy ed è diventata uno scherzo. Come a un mio recente concerto: cantavo un brano tenero e struggente come Green, Green Grass of Home e tutto d’un tratto mi arrivano queste mutandine dritte sulla fronte. Devi riderci su: è un po’ come scivolare su una buccia di banana».

TOM JONES

Long Lost Suitcase

HHHHH

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