Vanity Fair (Italy)

LA LIBERTÀ È UNA CELLA

In Corea del Sud per combattere lo stress si va all’albergo PRIGIONE. L’ideale per evadere

- Testo e foto di FILIPPO VENTURI

i chiama «la prigione dentro me». «Alcuni rimangono impression­ati quando leggono il titolo del programma “Prison Inside Me”, ma è una metafora dei nostri limiti, non una vera prigione», spiega la direttrice Jihyang Noh, cinquanten­ne, che nel 2013 ha inaugurato con il marito un luogo di soggiorno anti-stress nella periferia di Nammyeon, 90 chilometri a est di Seoul. Composto da tre edifici austeri che richiamano il rigore di un carcere, e con camere che sono vere e proprie celle di circa 6 metri quadrati, è circondato da boschi e colline. Scopo dichiarato: aiutare le persone a ritrovare se stesse in un Paese, la Corea del Sud, con un numero di suicidi fra i più alti al mondo: 43 al giorno, secondo i dati del governo.

SChi ha avuto lÕidea di questo posto? «Mio marito Kwon Yong-seok. Circa 15 anni fa faceva l’avvocato e stava vivendo un periodo difficile al lavoro. Desiderava prendersi una pausa, ma non poteva farlo. Ha avuto così l’idea della prigione: una cella sarebbe stato l’unico modo per riuscire a fermarsi per poter ricaricars­i e riprendere il controllo della propria vita. Cinque anni fa

abbiamo iniziato i lavori: poi, nel 2013, lo abbiamo inaugurato».

Come funziona il centro? «Abbiamo due programmi, per gruppi e per singoli. Di solito più uomini che donne. Si resta 3 o 8 giorni. Con un monaco buddista si fa meditazion­e, con un prete cattolico si affrontano i sentimenti di rabbia,

sensi di colpa e ossessione, e con me si fa auto-introspezi­one».

Che cosa succede di preciso? «All’arrivo agli ospiti viene consegnata una uniforme blu con un numero identifica­tivo da indossare, viene chiesto loro di consegnare i cellulari, poi vengono portati in camera. Le stanze hanno solo un bagno, un lavandino e un tavolino. I partecipan­ti dormono su un futon, a terra. Nelle strutture non ci sono orologi.

I pasti sono serviti tramite uno sportellin­o nella porta».

Non si esce mai di ÇcellaÈ? «Solo la notte le camere sono chiuse a chiave. Di giorno, si può restare o uscire: attorno alla prigione c’è un bosco che abbiamo chiamato “foresta della meditazion­e” dove i partecipan­ti possono passeggiar­e. In gruppo poi si possono fare gli enneagramm­i, una terapia per capire

la propria personalit­à e gli altri, e lezioni spirituali».

Gli utenti che cosa fanno nella camera? «Meditano. Pregano. Qualcuno scrive lettere. A volte alcuni guardano sempliceme­nte fuori dalla finestra per ore, perché la loro vita

quotidiana non gli permette di concedersi momenti simili».

Qualcuno ha mai lasciato il programma prima della fine? «No. I partecipan­ti sono soddisfatt­i, alcuni tornano tre, quattro volte». PerchŽ i coreani hanno bisogno di un posto come questo?

«La società coreana è molto veloce, competitiv­a, piena di stress, ma è un problema di tutti, un fenomeno mondiale».

Quanto costa fare il programma? «250 mila won (circa 190 euro) per il programma da 3 giorni e 500 mila won (circa 380 euro) per il programma da 8 giorni».

Ha mai provato il programma? «Sì, con mio marito lo proviamo regolarmen­te

una o due volte l’anno».

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