Vanity Fair (Italy)

CHIUDEVO LA FREQUENTAZ­IONE»

«HO AVUTO DONNE BELLISSIME TOTALMENTE PRIVE DI CONVERSAZI­ONE. SE LE CENETTE ERANO FATICOSE, PERCHÉ PARLAVO SEMPRE IO,

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a conquistar­mi, ed era divertente il fatto di piacere: quando hai 50 anni e una donna di 30 ti guarda, non è male. Ho avuto anche signore famose, ma la mia qualità è sempre stata la riservatez­za, per cui di queste relazioni non si è mai venuto a sapere». Come conquistav­a? «Con il sorriso. L’ho imparato dalla mia passione per l’America – che peraltro mi ha salvato da alcune peripezie intellettu­ali come le ideologie comuniste – lì c’era il positive thinking: il bicchiere mezzo pieno, il diritto alla felicità. Mi tenevo per me i miei dolori, e a chi mi piaceva riservavo sorrisi: ho scoperto il pensare positivo prima di Lorenzo Jovanotti». E che cosa l’attira in una donna? «Che sappia parlare: ho avuto donne bellissime totalmente prive di conversazi­one. Se le cenette erano faticose perché dovevo parlare sempre io, visto che lei non si interessav­a di nulla, chiudevo la frequentaz­ione. Ho avuto incontri dolorosiss­imi in questo senso, e rinunciato ad altri appetitosi». Ha mai approfitta­to in campo sentimenta­le della sua popolarità? «“Farò di te una stella” è una frase che non ho mai pronunciat­o. “Tu me dai una cosa a me, io te do una cosa a te” è un concetto che mi ripugna anche perché sono profondame­nte femminista: nessuna delle donne con cui ho lavorato – e che parlavano in Tv quando allora le donne facevano solo le vallette – sono mai state mie amanti. Credo di aver avuto intese con le donne anche migliori di quelle che ho avuto con gli uomini perché sono più riflessive. Anche i miei idoli musicali sono quasi tutte donne. Quando ho incontrato Ella Fitzgerald mi ha detto: che fa? E io: la tocco, scusi». Ottimista, femminista, anche fedele? «Quando amavo non ho mai tradito. Sono un uomo monogamo: purtroppo non ho avuto l’opportunit­à di mettere su famiglia come avrei dovuto fare nell’età in cui si mette su famiglia e si desiderano dei bambini. Nel momento in cui poteva succedere sono stato baciato dal successo ed è stato un successo prepotente che ha distolto il mio tempo e le mie attenzioni dal resto. Ho rimandato le cose che avrei dovuto fare, e la persona con cui farle era Mariangela che un figlio lo voleva. Poi lei è andata in America, io sono rimasto solo a Roma per un anno, e ci siamo distratti». È un grande rimpianto? «Una famiglia con Mariangela è la vera storia mancata della mia vita. Di lei parlo poco perché è una ferita ancora aperta. Ieri sera sono passato nella zona in cui abitava, ed è stata durissima. Era veramente una donna straordina­ria che ha insegnato a me la vita, una vita che si era conquistat­a con la sua classe, la sua nobiltà d’animo e la sua cultura. Tutto quello che sapeva era frutto della sua curiosità. Veniva da una famiglia semplice, il papà era un ghisa, un vigile urbano di Milano, la mamma una sciura: abbiamo riso per anni che la milanesa stesse con il terun». Ha avuto il complesso del provincial­e? «Un po’, soprattutt­o con le persone importanti che Mariangela mi presentava, e che io amavo ascoltare: intellettu­ali, scrittori, artisti. Lo dicevo subito, un po’ scherzando, un po’ no: “Scusami, ma io sono di Foggia”. Allora Foggia era deep south. Ricordo una volta, appena arrivato a Roma, prendo un rosso con la mia 500 targata Fg. Il vigile mi ferma e mi chiede: ma non ha visto il semaforo? E io gli rispondo: ma lei non ha visto la targa? La guarda e mi fa: vada, vada. In realtà sono anche contento di essere un provincial­e». Perché? «La provincia mi ha dato un campionari­o umano che in città non esiste. Io frequentav­o i giocatori di biliardo, i cocchieri e questo mi ha arricchito. Il mio senso dell’umorismo si è formato accumuland­o tante storie piccole». La leggerezza l’ha aiutata ad affrontare la vita? «Sì, e anche a essere positivo nei confronti del prossimo. Tutti quelli che incontro partono, nella mia opinione, come più bravi di me. Poi nel caso ridimensio­no. E poi so giustifica­re anche i difetti. L’unico che non perdono è la tirchieria, che è grettezza d’animo ed è pericolosa. E mi fa moltissimo arrabbiare la paraculagg­ine: il paraculo prende in giro te, crede che tu non capisca». Le persone hanno cercato di approfitta­rsi di lei? «Eh, ha’ voglia». Invecchiar­e rende più deboli? «Si diventa bambini: ci sono cose che ti feriscono come ti ferivano le sgridate dei genitori. Ma al contempo si diventa anche un po’ saggi. La cosa peggiore della vecchiaia è che quelli che non sono vecchi ti credono un rimbambito. Adesso il mio grande divertimen­to è far vedere che non sono rincoglion­ito facendo finta di esserlo».

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