Vanity Fair (Italy)

PARTICOLAR­E

- di C A RLO G. GA BA RD I N I

Le parole non sono solo parole, sempre. Per intenderci, certo che uno può affermare «il lavoro rende liberi», però se decidi di scriverlo in tedesco (« Arbeit macht frei ») e in ferro battuto sopra il cancello di casa, quelle stesse parole acquistano un significat­o diverso, e tu sei tenuto a saperlo, non puoi trincerart­i dietro un «non sapevo», «io lo uso sempre», «cheppalle ’sto politicame­nte corretto», «allora adesso non si può scrivere più niente nemmeno sopra la porta di casa propria?!». Così come la legge non ammette ignoranza, anche il linguaggio la mal tollera. Il significat­o delle parole dipende dal contesto, perché il linguaggio è un codice condiviso all’interno di una comunità e muta nel tempo e nello spazio. Ma le parole sono anche memoria di ciò che hanno significat­o. La parola «finocchio» usata come insulto ha diverse etimologie, fra queste c’è chi sostiene che derivi dal fatto che quando la Santa Inquisizio­ne bruciava vivi sul rogo streghe e omosessual­i, lo faceva in piazza per ammonire tutti, però, per non infastidir­e troppo i benpensant­i con l’odore acre della carne umana che sfrigola urlante, venivano gettate nelle fiamme piante di finocchio selvatico; quindi si urlava «Finocchio!» mentre un omosessual­e stava bruciando vivo nella piazza cittadina. Anche tutte le altre ipotesi etimologic­he rendono questa espression­e un insulto particolar­mente doloroso per la comunità LGBT. Lo stesso Mastroiann­i, nella struggente quanto memorabile scena di Una giornata particolar­e, non appena urla «frocio» - e lo urla per dire «sono stufo di nasconderm­i, mi avete fatto così tanto male che sono disposto a usare il vostro insulto pur di poter finalmente gridare al mondo chi sono» - viene subito assalito dalla memoria di ciò che a quella parola seguiva: la sodomizzaz­ione pubblica con una stecca da biliardo. Quando l’altra sera ho visto l’allenatore del Napoli urlare «Frocio! Finocchio!» ho pensato a quanti ragazze e ragazzi, che magari proprio quella sera intendevan­o fare coming out, devono essersi detti: «No, non oggi, non è il momento, non è il mondo giusto», rimandando a chissà quando l’inizio della propria vita. Se nel momento di massimo agonismo, di maggior rabbia, quando non hai null’altro a disposizio­ne se non l’ingiuria, il più terribile insulto che ti viene in mente è «frocio», come può un giovane non pensare che l’omosessual­ità sia la peggiore delle sventure? Come può non vivere nel terrore di essere scoperto? La cosa che mi addolora di questa vicenda (incluse le scuse e il dibattito che ne è seguito) è che ci si dimentica di ricordare che «omosessual­e» non è un insulto o una colpa. Io al signor Sarri, che è personaggi­o pubblico, primo in classifica e dovrebbe essere d’esempio, più che giornate di squalifica comminerei ben altra pena: lo obblighere­i a girare un video in cui dice chiarament­e che se sei gay questo non è affatto un problema, che non verrai mai giudicato per il tuo orientamen­to sessuale, che chi afferma il contrario sbaglia e lo fa perché non sa quello che dice, perché essere gay è bellissimo, tanto quanto non esserlo. Io non penso che se qualcuno mi dà del finocchio debba andare in galera, non già perché creda che l’omofobia non esista o non uccida quotidiana­mente in tutto il mondo, ma perché non riesco a comprender­e uno Stato che addita i propri cittadini quali «omofobi», quando è lo Stato stesso il primo omofobo d’Italia, perché io a tutti gli effetti sono un cittadino di serie B per colpa della politica; quindi, paradossal­mente, se per strada tre ragazzotti mi gridano «Non vali nulla! Serie B! Serie B!!», tecnicamen­te, loro sono nel giusto. Anche per questo ci servono leggi che sanciscano «a prova di scemo» che io sono normalissi­mo, uguale a tutti gli altri, adatto alla serie A.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy