Vanity Fair (Italy)

ERO LA SORELLASTR­A, QUELLA BRUTTA.

RUBAI A MIA SORELLA IL VESTITO DEL BALLO DI FINE ANNO»

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M«Mi avevano già detto di no due scuole di recitazion­e», racconta Michael Fassbender mentre facciamo colazione. Aveva 19 anni e quel rifiuto lo spinse a cercare fortuna a Londra. Ai provini per il Drama Centre preparò un monologo di Iago: l’aveva ripassato centinaia di volte, ma era agitato. In testa gli risuonavan­o le parole di un regista, che gli aveva detto di saper riconoscer­e un attore dal modo in cui entrava in una stanza. «Ancora la odio, quella frase». Mancava poco al provino. «Sono andato in bagno, e mentre ero in piedi a fare pipì ho visto scritto a pennarello sul muro “Hi, Cookie!”. Avevo da poco finito di interpreta­re il Cuoco (in inglese Cook, ndt) in un allestimen­to di Madre Coraggio, e l’avevo fatto con accento scozzese. Ho pensato: ok, faccio Iago con accento scozzese... Non dico che fosse un segno, ma io l’ho interpreta­to così, e questo mi ha aiutato. Ho superato i provini. Ed eccomi qui». Fassbender mi racconta l’aneddoto mentre parliamo di quello che la gente di teatro chiama «il dramma scozzese»: si dice porti sfortuna pronunciar­e il vero titolo, Macbeth, e pure lui – che ha interpreta­to il protagonis­ta – lo chiama così, anche se dice di non essere superstizi­oso: «L’unico segno in cui credo sono le gazze. Se ne vedo una da sola, la saluto». Dopo Macbeth, è appena arrivato al cinema in Italia un altro film con Michael: Steve Jobs di Danny Boyle, per il quale ha ricevuto la sua seconda nomination all’Oscar. A fine anno, lo vedremo invece in Assassin’s Creed, film ispirato al videogioco. L’attore, che oggi ha 38 anni, è cresciuto in Irlanda, nella Contea di Kerry, figlio di madre irlandese e padre tedesco. Per quanto non superstizi­oso, è convinto che il numero 7 gli porti fortuna. «Sarà perché sono nato nel 1977. So che è assurdo, ma sentivo che nel 2007 c’era una possibilit­à in arrivo, e volevo farmi trovare pronto». Con il senno di poi, allora immaginare una cosa del genere era difficile, benché all’epoca Fassbender avesse già interpreta­to alcuni piccoli ruoli, ed era diventato abbastanza famoso per aver attraversa­to l’Atlantico a nuoto in uno spot della Guinness. Dal 2007 a oggi, invece, è stato protagonis­ta di tre film di Steve McQueen, ha lavorato con registi come David Cronenberg, Cary Fukunaga e Ridley Scott, fatto un’apparizion­e in Bastardi senza gloria di Tarantino. Al tempo stesso, però, somiglia molto all’adolescent­e di quel lontano provino: disponibil­e ai cambiament­i e a captare i segni del destino. Dice di lui Justin Kurzel, il regista di Macbeth: «È sempre molto preparato, il che gli permette di mantenersi aperto a ciò che succede di giorno in giorno, alle persone che lo circondano. Ecco perché è uno dei migliori artisti sulla piazza». Mentre tentava la carriera d’attore lavorava come barista, mestiere imparato nel pub dei genitori: «Mi piaceva, ma dio, quanto volevo recitare!». Eppure, a quasi 30 anni non aveva ancora sfondato. Poi, nel 2007, fece il provino per la parte del leader dell’IRA Bobby Sands in Hunger, debutto alla regia di Steve McQueen. Il primo provino fu debole, ma al secondo tentativo «Michael è esploso, con un livello di coinvolgim­ento tale che ho capito: questo fa sul serio», racconta il regista. Dopo Hunger, che vinse la Caméra d’Or a Cannes e altri premi importanti, arrivò Shame, il film sulla dipendenza sessuale che ha dato al mondo occasione di parlare delle straordina­rie dimensioni genitali del protagonis­ta. E in seguito 12 anni schiavo, dove Fassbender è uno schiavista violento. Si narra che su quel set sia svenuto per l’intensità di una scena di stupro, ma lui sottolinea che, conclusa la giornata di lavoro, torna alla sua vita e «non mi porto i personaggi a casa».

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