SONO LE GAZZE:
SE NE VEDO UNA DA SOLA, LA SALUTO»
Di persona, Michael è un ragazzo allegro, più carino che bello. Non ha un carisma aggressivo, né lo entusiasma parlare di sé, però è gentile. Ha un’aria da protagonista di commedia romantica, tra i pochi ruoli che non ha ancora interpretato. Il filo conduttore del suo variegato curriculum è invece quello degli estremi fisici ed emotivi: violenza ( 12 anni schiavo), digiuno ( Hunger), dipendenza ( Shame). Dice Danny Boyle, a proposito del personaggio di Steve Jobs: «Una parte del genere è un peso enorme, Jobs era uno spirito difficile che ha plasmato il mondo. E Michael l’ha affrontato con assoluta disinvoltura. Sul set, a cinepresa spenta, è una persona tranquilla, garbata, spiritosa, all’apparenza spensierata. Poi, nel giro di un attimo, tira fuori un livello di concentrazione e di intensità mostruoso. Non avevo mai visto una simile precisione, una capacità così istantanea di entrare nella parte». Secondo il regista, personaggio e interprete condividono «lo stesso fascino assoluto, applicato con ferocia alla ricerca della perfezione». Fassbender, d’altra parte, ha un metodo molto preciso: «Torno sulle parole tante, tante, tantissime volte. È una cosa che ha a che fare più con l’azione che col pensiero». Dice McQueen: «Michael è completamente presente. Gli attori come lui, a volte, diventano una specie di sfera: non importa da che parte rotolino, il risultato rimarrà comunque perfetto».
Piovigginoso martedì mattina a Manhattan. Dopo colazione, andiamo insieme in auto nel New Jersey, a fare tiro al piattello. Gli avevo proposto, in alternativa, il Bikram Yoga, il surf o una lezione di ballo, tutte attività in cui – a dar retta alle mie ricerche – lui è come me un principiante, e non mi farà fare brutta figura. Al tiro al piattello l’istruttore ci mostra come funzionano i fucili e ci spiega che il segreto è non pensare: non alzare gli occhi per controllare com’è andato il colpo, ma tenerli fissi sul piattello. È così che, facendolo più e più volte di fila, si migliora. La cosa più importante è non pensare. «Esatto, non pensare», ripete Fassbender, e sorride. Ci alterniamo al campo per principianti, dopodiché passiamo a un altro in cui il piattello esce da una torretta davanti a te, e quello successivo da un’altra alle tue spalle. Da gentiluomo, all’inizio Fassbender non combina molto, e mi lascia vincere il dollaro che abbiamo scommesso. Ma appena ci spostiamo nel campo più difficile, tutt’a un tratto i suoi spari diventano quasi perfetti. La fama da dongiovanni che lo accompagna sembra più che altro una proiezione: è il pubblico ad amare Michael, che da parte sua frequenta sì alcune donne (al momento la più «vicina» è la collega Alicia Vikander, con cui ha girato The Light Between Oceans) ma soprattuto lavora e viaggia quasi senza sosta. Quando nel 2011 si è preso un mese e mezzo di vacanza, ha fatto un viaggio in moto con il padre. Durante un festival cinematografico, gli è stata messa a disposizione per una settimana una barca sull’Adriatico, e lì è arrivata anche la madre. Qualche tempo fa, come pesce d’aprile, ha fatto chiamare i genitori dal suo autista dicendo loro che il figlio era in galera e gli servivano 10 mila dollari di cauzione per evitare che la produzione lo scoprisse. Più che un rubacuori, un bambino. Un bambino particolare: concentrato, energico, uno che prende il gioco tremendamente sul serio. «Il mio debutto a teatro l’ho fatto alle superiori, interpretavo la sorellastra brutta. Indossai un vestito che mia sorella aveva usato per il ballo degli studenti. Era una recita scolastica, ma non la presi certo alla leggera». Torniamo in auto e gli dico che le gazze, proverbialmente, non stanno mai da sole. «Sarà per quello che quando ne vedi una la saluti, perché di solito sono in due», risponde. «Mio padre mi dice: ma quando ne vedi una sola, a me non succede mai. A me, però, sì. Chissà perché».
(traduzione di Matteo Colombo)