Vanity Fair (Italy)

DONNA ORSO AMA MASCHIO SUPERFLUO

Tornano a teatro con una commedia su amanti, liti e incertezze. SIMONA IZZO e RICKY TOGNAZZI festeggian­o così 30 anni insieme in un lettone king size dove si fa l’amore, si mangia, si recita. E qualche volta si va in letargo

- di MA RINA C A PPA

La questione lifting si risolve in fretta. «Noi siamo la prima generazion­e che si può aggiustare anche l’esterno oltre all’interno: perché su una protesi al ginocchio non c’è niente da ridire e quando ti tiri un po’ su il viso sono tutti lì a protestare? Forse perché si vuole inibire le donne?», si chiede Simona Izzo, 62 anni e il viso in condizioni decisament­e migliori di come è apparso negli ultimi tempi, quando è stata accusata di essersi rovinata. La questione sesso amore e lavoro invece merita discorsi più lunghi. Simona Izzo ha appena debuttato nello spettacolo prodotto

da Angelo Tumminelli Figli, mariti, aman

ti... Il maschio superfluo. Lei ha scritto il testo, il marito Ricky Tognazzi lo dirige, insieme lo interpreta­no, nei panni di una coppia di lunga data abituata a battibecch­i e schermagli­e, cui si aggiunge un’altra coppia (Kiara Tomaselli e Giuseppe Manfridi) di più recente formazione: sarà una notte di scintille. Oggi invece è una giornata di sole romano, la casa dei Tognizzo (copyright Ricky) è zeppa di testimonia­nze del loro lavoro. Tutto ciò che fanno è opera di coppia, nasce nel letto king size che condividon­o da trent’anni, si evolve in abbuffate notturne, prove davanti allo spazzolino. Anche questo spettacolo, che li vede tornare insieme a teatro dopo 22 anni.

Da dove nasce Il maschio superfluo? «Mi sono ispirata al libro Il maschio è inuti

le, ho studiato la rana pescatrice che divora il maschio per autoingrav­idarsi. Oggi c’è la possibilit­à che la donna metta da parte l’uomo, per crescere i figli da sola. E magari i maschi si rifugiano in donne più remissive. Io invece non considerer­ò mai superfluo il maschio». Anche perché, dopo l’amore con Antonello

Venditti e quello con Maurizio Costanzo,

sono trent’anni ormai che sta con Ricky. Ricorda ancora il primo bacio? «Sì, nel film Parole e baci. Avevo scritto la sceneggiat­ura e scelto Ricky perché mi ricordava mio figlio con gli occhi tartari, mediterran­eo eppure alto: c’era un senso di appartenen­za. Sul set, l’ho baciato per finta 23 volte e non andava mai bene. Alla fine, è stato un bacio vero: non mettere la lingua è troppo difficile». Amore a prima vista? «No, è successo dopo, quando ho capito che Ricky mi ascoltava. Mentre in passato gli uomini che ho amato cercavano sempre di contraddir­mi, lui non entrava in competizio­ne, era interessat­o sul serio. Da allora,

è l’unico corpo della mia vita, un territorio in cui mi riconosco e mi perdo». L’aspetto più fisico come è cambiato? «Il nostro è sempre stato un rapporto molto fisico, la passione è stata anche alimentata dall’ufficialit­à del matrimonio, 11 anni dopo il nostro incontro. Oggi.. il menisco mi fa male e siamo meno acrobatici, fare l’amore è il compimento di una bella giornata». Il matrimonio aiuta la passione? «Sì, e l’ho voluto io. Credo nella legalità, nella perennità». Il corpo invecchiat­o è un problema a letto? «A una certa età spogliarsi non è piacevole, ma questo vale anche per gli uomini. Il grande privilegio è invecchiar­e insieme». E la noia, dopo trent’anni? «Nella commedia racconto due persone che affilano le armi, la cui lite diventa una gara continua a stuzzicars­i, a non annoiarsi. Noi non ci siamo mai annoiati. C’è sempre stato di mezzo un film, qualcosa su cui dibattere: non c’era solo la vita, c’era la finzione. E questa ci protegge». Come festeggiat­e gli anniversar­i con Ricky? Le regala fiori, uscite a cena? «Non c’è una liturgia. E quando porta i fiori, poi mi arriva il conto del fiorista. Io festeggio tutte le volte che alle 3 di notte chiedo che c’è da mangiare e lui scende nudo in cucina e mi prepara un panino con i residui della cena assemblati in modo geniale. Andiamo a letto tardissimo, vediamo insieme dodici serie Tv, discutiamo di ciò che prepariamo, facciamo le prove...». È qui che è nata l’idea di Figli, mariti, amanti...? «Sì, all’origine c’è la mia mania manipolato­ria, perché io ho una sindrome di controllo molto forte, metto sempre bocca nella vita degli altri nel tentativo di aggiustarl­a. Può essere generosità o rottura di cazzo, intrusione. Però al mio personaggi­o è sfuggita una cosa molto importante, e capisce che non si può tenere tutto sotto controllo: forse più che degli altri bisogna occuparsi anche di se stessi». Mai andata in analisi? «Ci ho provato, però ho raccontato un sacco di bugie all’analista. Il problema è che lui mi ha smascherat­o perché non mi ricordavo tutto quello che avevo inventato, storie d’amore inesistent­i, incontri mai fatti... Forse volevo rendermi più interessan­te».

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