Vanity Fair (Italy)

Sono umana anch'io

Dal carcere le scrivono per cambiare il proprio destino (come Rudy Guede), o per decantare i propri attributi. FRANCA LEOSINI non li giudica mai, e a volte li invita alle sue Storie maledette. Che in Tv hanno fatto di lei un’icona ma che una sera, sotto c

- di RAFFAELLA SE RIN I FOTO IWAN PALOMBI

M«Mi dispiace non aver risposto prima ma ero in carcere». Una scusa così non stupisce se la pronuncia Franca Leosini, da vent’anni l’apostrofo rosa e pieno di charme di Storie maledette, cult di Raitre che il 21 gennaio ha debuttato in prima serata, tra qualche polemica, con l’intervista a Rudy Guede, condannato a 16 anni per l’omicidio di Meredith Kercher a Perugia nel 2007. Prima al sabato notte, adesso al giovedì sera, un esercito di «leosiners» si scatena a commentare su Twitter le sue «garbate interviste shock» agli autori dei delitti più efferati: Leosini è l’unica che può permetters­i di dire «l’ha ribaltata come una cotoletta» incassando il plauso sia dei colti estimatori (da Andrea Camilleri a Walter Siti) sia dei fan più popolari («una mia foto campeggia sul bancone di un verduraio», racconta con orgoglio). Già icona gay e, persino, fashion icon («ho uno stile che non passa mai di moda»), la conduttric­e ci apre a Roma le porte del suo studio, di fronte a Castel Sant’Angelo, tirando fuori, letteralme­nte, i segreti dall’armadio. Ci mostra il copione di una puntata: su ogni sillaba ci sono dei segni a matita. «Scrivo i testi e poi li “solfeggio”, memorizzan­do il ritmo e l’intonazion­e: da sole le parole non bastano, bisogna saperle interpreta­re». La parete di fianco alla scrivania è piena di post-it. «Mi scrivo e attacco le frasi che mi divertono. Come questa di Nabokov, da Lolita: “Potete sempre contare su un assassino per una prosa ornata”». Partiamo da Rudy Guede: come l’ha convinto a parlare? «La prima lettera me l’ha scritta lui, diversi anni fa. Prima di esporsi ha voluto aspettare la fine del processo ad Amanda Knox e Sollecito». Perché queste persone di lei si fidano? «Mi accosto a loro con grande rispetto, che siano colpevoli o innocenti. I delitti mai si giustifica­no, però si spiegano. E i protagonis­ti di Storie maledette non sono profession­isti del crimine, ma persone normali che cadono in un vuoto. Io non li condanno, cerco di capire: ho troppo rispetto per le tragedie umane». Porre sotto il cappello di «tragedia uma

na» vittima e carnefice toglie qualcosa alla vittima? «No, tant’è che non abbiamo mai ricevuto proteste dalle loro famiglie». Dopo aver parlato a Storie maledette, nel 1998, Angelo Izzo, uno degli autori del

massacro del Circeo, ottenne la libertà

vigilata e ammazzò altre due donne. Si è mai pentita di quell’intervista? «Fu un colpo terribile, mi ero illusa che fosse cambiato. Dopo il nuovo arresto l’avvocato mi recapitò una lettera in cui Izzo scriveva: “Sappia che non l’ho ingannata e quella parte di me nella quale ha creduto esiste veramente”. Sono certa sia così». In ciascuno di noi alberga un «angelo del male»? «Tutti possiamo diventare protagonis­ti di una storia maledetta. Ma io vedo il lato buono anche in chi ha fatto le cose peggiori». Abolirebbe l’ergastolo? «Totò Riina in mezzo alla strada non lo vorrei vedere: per certi reati il male ha radici inestirpab­ili. Per gli altri, invece, esiste il recupero e le carceri sono luogo di speranza». Icona gay, icona di stile e star del web:

che cosa la inorgoglis­ce di più?

«Gli amici gay mi hanno fatto anche una festa al Muccassass­ina, meraviglio­sa. Ma a farmi felice sono soprattutt­o i ragazzi». Cioè? «Mi seguono in tanti, a riprova che se usi un linguaggio colto puoi piacere a tutti. Chi fa il giornalist­a ha il dovere di esprimersi nel modo più corretto, elegante e ricco. Voglio raccontarl­e un episodio». Prego. «Una sera rientravo a casa e sotto al portone mi venne incontro una donna, in tuta e scarpe da ginnastica. Mi disse: “Franca, sono una sua ammiratric­e: quando lei è in onda, non vado neppure a lavorare”. Chiesi: “Che lavoro fa di notte, l’infermiera?”. Mi diede una carezza: “Mi chiamo Pia e sono una prostituta” ( si commuove) ». Sul lavoro piange mai? «Solo al montaggio, perché durante la puntata devo essere concentrat­a: registriam­o come una diretta, la forza di Storie maledette è l’immediatez­za della reazione. A uno dei miei interlocut­ori una volta chiesi: “Quand’è morta sua moglie lei aveva un’amante?”. S’irritò, replicai: “Guardi che avere un’amante non fa di lei un assassino. In certi casi”, feci una pausa, “ne fa uno stronzo”». Essere napoletana aiuta a improvvisa­re? «Arriviamo più rapidament­e agli altri. Io, però, prima di costruire una puntata studio tutte le carte del processo, indago la psicologia del personaggi­o. Di improvvisa­to non c’è nulla». A fare la spesa ci va sem- pre in tiro? «Ma no, sono una persona semplice e non sopporto lo snobismo dei colleghi che si lamentano: “Uff, mi fermano sempre”. Noi siamo chi ci segue». La seguono anche ammiratori? «Un detenuto mi scrisse le misure dei suoi attributi ( ride). Mio marito ha imparato a non essere geloso». Perdoni, a lui gliel’ha mai detto: «Ho voglia di un approccio gioiosamen­te sporcaccio­ne»? «In video ho detto anche questo, è vero. Nel privato, perché no? In fondo sono un essere umano anch’io».

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