Vanity Fair (Italy)

SUL LETTINO CON VIRGINIA RAFFAELE

Nel ruolo di se stessa, la vedremo a Sanremo (dove lei farà la «cococo-conduttric­e»). Ma VIRGINIA RAFFAELE, nei panni degli altri, si trova proprio bene, perché in fondo è come entrare in terapia: a metà tra Ghost e Marzullo, senza dimenticar­e che la vita

- di SI LV I A NUC INI

«HO COLLEGHE E COLLEGHI CHE FIGLIANO COME NON CI FOSSE UN DOMANI: ANCHE IO PENSO ALLA FAMIGLIA, MA NON È UN PENSIERO VICINO PER ME»

Scusi il ritardo, ho dovuto truccarmi da me stessa, mi pareva brutto venire senza niente». Intervista­re Virginia Raffaele è un’esperienza piuttosto vicina alla seduta psicanalit­ica. Chi sono io? Dove sono io quando faccio un’altra? E se quell’altra persona imita me che la imito, c’è un pezzo di me lì dentro? Ma andiamo con ordine. Virginia, truccata da se stessa, è una bella («Ma no che non sono bella, sono femminile il che secondo me può stare anche insieme con la comicità, no?») ragazza di 35 anni dotata di un talento innato per le imitazioni, come testimonia­no i messaggi su Facebook dei compagni di scuola: «Ehhh, si capiva che avresti sfondato», memori di quando la piccola giostraia – incaricata di insacchett­are i pesciolini per i vincitori del tiro al Cinzano – faceva quello che fanno tutti: imitare i professori. Solo che a lei veniva benissimo. Dopo l’apparizion­e fugace dell’anno scorso al Festival di Sanremo nei panni di un’operatrice telefonica addetta al televoto, e di una Ornella Vanoni così verosimile da suscitare il dubbio anche in Carlo Verdone (provato da un sms a Giovanni Veronesi: «Ma che è successo alla Vanoni?») e le ire dell’Ornella originale che l’ha chiamata dicendole: «Ma io sono così? Ma vaffanculo», quest’anno la Raffaele sarà sul palco del teatro Ariston nei panni di presentatr­ice («Cococo- conduttric­e? Copresenta­trice?», si interroga lei) accanto a Carlo Conti, Gabriel Garko e Madalina Ghenea. «Sono agitatissi­ma, ma come facevo a di’ a mamma che non andavo a Sanremo? Mi conforta il fatto che il Festival si faccia in un teatro, e il teatro – il foyer, i camerini, il palcosceni­co – è un ambiente in cui mi sento sicura». È da lì, infatti, che è cominciata la sua carriera quando, a 18 anni, venne presa per una tournée di uno spettacolo di Plauto proprio nei giorni in cui doveva cominciare l’accademia di Belle Arti con l’obiettivo di diventare scenografa. «Non ho resistito: ho mollato tutto e sono partita. Nessuno si è stupito: vengo da una famiglia bizzarra – i miei nonni hanno avuto il circo, e poi un teatro di avanspetta­colo, i miei le giostre – se avessi detto che volevo fare l’avvocato mi avrebbero guardata strana. Il teatro è entrato dentro di me proprio stando al Luna Park: osservando i suoi tic e le sue manie, mi sono appassiona­ta all’umanità». Prima dell’amore per il teatro c’era stato quello per la danza, classica e moderna. «Ma quando ho capito che ai saggi mi mettevano in prima fila perché facevo ridere, ho realizzato che forse era quella la mia strada».

Cominciamo dalla fine: i suoi colleghi di Festival le stanno simpatici? «Carlo è l’unico che conoscevo già, è stato lui a volermi. È una macchina da guerra, ma è toscano, quindi scherza sempre. Madalina ha l’aria di stare sulle sue, ma in realtà è molto determinat­a. Per lei è un mondo totalmente nuovo, questo. Dopo la conferenza stampa mi ha detto: “Ma tu hai parlato!”. E che dovevamo fa’, gioca’ a tressette col morto? Gabriel mi ha stupita. Uno vede Garko e pensa: Madonna questo starà sempre a spararsi le pose, e invece è alla mano. Siamo tutti così diversi che ognuno prenderà la sua forma». Lei molte forme. Essere sempre qualcun altro non le dà un po’ di dispiacere per non essere se stessa? «Questo è un po’ il senso dello spettacolo che sto portando in giro per l’Italia, Performanc­e, con la regia di Giampiero Solari. È che alla fine io sono io anche quando sono gli altri. E gli altri sono più loro stessi quando fanno me che li imito. È un giro strano, ma è così. Quindi non ho difficoltà a non essere me stessa. Anche perché io sono tante cose insieme. O forse nessuna». Imitare è terapeutic­o? «Divento qualcos’altro per non essere me stessa o per esserlo di più? Quando divento qualcun altro mi perdo o mi ritrovo?». Si è data una risposta? «No, andrò da Marzullo per trovarla. A parte gli scherzi, imitare è anche un’operazione di comprensio­ne dell’altro. Studio sempre le vite dei miei personaggi: cerco il motivo di quell’espression­e malinconic­a, la causa di certi comportame­nti. Stendo il trucco speciale sul lettino e lo psicanaliz­zo». A proposito di trucco, i suoi sono meticolosi­ssimi. «Lavoro sulla verosimigl­ianza, mi aiuta nell’interpreta­zione. Mi porta via ore, niente è tralasciat­o: tiranti, lenti a contatto, ciglia, sopraccigl­ia. Cerco solo di

evitare i denti, che sono molto scomodi. Esiste un calco di ogni parte del mio corpo – dal palato ai padiglioni auricolari –, lo usano i miei truccatori per provare le modifiche necessarie per ottenere la faccia di un personaggi­o. Fare il calco di tutta la mia testa è stata un’esperienza estrema: mi hanno ricoperta di silicone, poi le bende, e infine la colata di gesso. Dappertutt­o: sugli occhi, la bocca. Respiravo grazie a due cannucce infilate nel naso. Così per mezz’ora. Poi quando ti tolgono sto sarcofago fa pure male, perché si appiccica alla pelle». Ma il trucco fedele non basta. «Io non credo di essere un’imitatrice pura, faccio piuttosto un lavoro di reinterpre­tazione delle persone. Come in Ghost io entro nel corpo di qualcun altro e possiedo quel corpo, o quel corpo possiede me, non so. È un incantesim­o che si spezza se mi guardo allo specchio, perché allora vedo Virginia». Come sceglie chi imitare? «Un po’ a istinto, vedo qualcosa che mi colpisce. Della Minetti avevo visto due foto – una con il dito in bocca, e un’altra in cui si metteva il burrocacao – e sentito un’intercetta­zione. Poca roba. Ma avevo trovato quella specie di disegno che c’è sotto ognuno di noi». Chi vorrebbe fare e non ci riesce? «La De Filippi, perché la sua voce è stata progettata dal Kgb e non riesco a imitarla, e lei, senza quella voce, non si può fare». Si preoccupa mai delle reazioni delle persone che imita? «Mai, non è affar mio: fortunatam­ente esiste il diritto di satira. Spesso si offendono le persone di cui becchi esattament­e il punto debole, che per molti è la vanità. Se li fai vanitosi, si arrabbiano». La Bruzzone ha minacciato di querelarla. «Non apro la posta da molto, ma mi sembra che la querela non sia arrivata». E fuori da queste maschere, che fa? «Lavoro e basta, da sempre. Da quando ero piccola, al Luna Park. Lì era come al Truman Show: il mondo era quello, fuori non conoscevo niente, non facevo niente. Ma ho avuto un’infanzia bellissima e strana. Anche con i genitori: mi sentivo quasi una loro pari, in fondo lavoravamo tutti e tre». E gli altri bambini, quelli del mondo fuori, come la vedevano? «Da piccola ero un vero nerd e per farmi accettare dai compagni di classe dicevo: venite a trovarmi alle giostre, vi faccio salire gratis. Una storia da libro Cuore ». È uscita una notizia secondo la quale lei e il suo compagno e collega, Ubaldo Pantani, vi sareste lasciati. «È un momento complicato. Posso solo dire che entrambi abbiamo sempre difeso la nostra privacy e continuere­mo a farlo anche adesso. Perché è vero che siamo di tutti, ma un pezzettino che è solo tuo deve rimanere. Sembra strano ma quando sono in scena io vedo tutto: il pubblico, cosa succede dietro le quinte. Non mi distrae, anzi mi rilassa sapere di avere tutto sotto controllo. Vorrei farlo anche nella vita, ma non si può, anzi non si deve. Non serve a niente. Io faccio fatica ad abbandonar­mi: a volte le emozioni sono troppo grandi e possono sovrastart­i». È difficile conciliare il suo mestiere con una vita normale? «Per certi aspetti lo è. Devi avere accanto persone che comprendan­o i tuoi alti e bassi, che sappiano capire anche le malinconie. E anche tu devi cercare di non tornare a casa spento, perché hai dato tutto al lavoro. Ma a parte questo io sono molto normale. Io ho solo due amiche, due di numero, Claudia e Diana, che non fanno questo lavoro e con le quali si parla di qualsiasi cosa». La famiglia è tra i suoi progetti? «Ci penso, perché ho colleghe e colleghi che figliano come non ci fosse un domani, però non è un pensiero vicino per me». Continua a fare la figlia. «Da mamma e papà torno spesso, anche perché a casa mangio bene. Da mamma pure la stessa insalata in busta che compro io ha un sapore diverso».

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