Vanity Fair (Italy)

SECONDO È MEGLIO

- di Guia Soncini

Nella Famiglia, il film di Ettore Scola del 1987, Vittorio Gassman è innamorato di una sorella

ma sposa l’altra. Verso la fine, rimasto vedovo, stronca i rimpianti della cognata: «Con te saremmo stati infelici, ci saremmo odiati». Certo che la amava, ma che c’entra: aveva sposato la donna giusta. La seconda scelta è spesso la migliore: Laurie in Piccole donne sposava Amy pur essendo innamorato di Jo, ricordando­si che Mozart era stato felice con la sorella di quella che gli piaceva. Steve Jobs è un film tutto di seconde scelte, come svela quel grande romanzo popolare che è l’archivio delle mail della Sony hackerato dai coreani. È una seconda scelta la Universal, che l’ha prodotto dopo che la Sony si è ritirata. È una seconda scelta Danny

Boyle, che l’ha diretto quando i produttori non sono riusciti a soddisfare le richieste di David Fincher. È una seconda scelta Jeff Daniels, forse la cosa migliore del film nel ruolo

dell’amministra­tore delegato di Apple John Sculley: doveva essere Tom Hanks. È una seconda scelta persino Kate Winslet, che probabilme­nte per quel ruolo vincerà un Oscar. Come quando si guardano i provini di Via col vento, da Steve Jobs si esce con la certezza che Joanna Hoffman non potesse che essere lei, con quel piglio da badante dell’Est. La prima

scelta, Natalie Portman, appare assurda: con quell’aspetto da ballerina? Michael Fassbender non lo voleva nessuno: nei film precedenti «non ha mai una battuta di più di cinque parole: preferisco uno che sia troppo vecchio per

la parte, a uno incapace di recitarla», scriveva lo sceneggiat­ore proponendo Tom Cruise o Daniel Day-Lewis. Per un po’ Jobs doveva

essere Christian Bale, poi rinunciò. Prima ancora, doveva essere DiCaprio. La prima scelta: diceva di volere la parte, ma si sfilò con la scusa del superlavor­o, stremato dal Redivivo. Quella del 28 febbraio è una scelta filosofica: l’Oscar va alla prima scelta o alla seconda scelta?

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