Vanity Fair (Italy)

NONNA, MAMMA E MAMMINA

Nel dibattito sulle unioni civili ci sono le parole, e poi ci sono le persone. Come l’attrice PAMELA VILLORESI, che ha una nipotina e la paura di perderla

- di MA RIN A C A P PA

Fra il Family Day con la sua piazza rumoreggia­nte e il Senato dove si sta votando la legge sulle unioni civili, c’è la voce delle persone. La voce di Pamela Villoresi si era fatta sentire il 25 gennaio sul Corriere della Sera. Adesso questa «nonna arcobaleno» si racconta a casa sua. Attrice da quando aveva 15 anni (iniziò con Strehler), è vedova del direttore della fotografia Cristiano Pogany e ha tre figli: Eva, 36 anni, organizzat­rice teatrale, Tommaso, 34, che si occupa di turismo, Isabel, 31, adottata a un anno in India e oggi impegnata con la Casa della Carità di Don Colmegna. Pamela ha anche una nipotina, Nina, concepita in Danimarca e partorita 10 mesi fa da «mamma» Valeria, compagna della «mammina» Eva.

Che significa essere «nonna arcobaleno»? «Se io muoio, Nina non riceve eredità. Se Valeria impazzisse, la bambina potrebbe sparire dalla nostra vita. Se succede qualcosa alla bambina e non c’è Valeria, mia figlia va al Pronto soccorso e resta fuori. In ospedale dopo il parto entravano esclusivam­ente i papà: solo per la gentilezza delle infermiere Eva c’è potuta stare». Prima di diventare madri, Eva e Valeria hanno mai avuto problemi? «Sono insieme da 11 anni. È capitato che una signora abbia detto: “Mi fate schifo”, e un’altra: “Mi fate pena e la vostra bambina mi fa più pena”. Lì mia nuora ha risposto: “Ci sono bambini abusati, altri muoiono nell’Egeo, abbia pena di loro”». Eva quando ha fatto coming out? «A 17 anni ci scrisse una lettera. Lì per lì ti preoccupi che abbia problemi in società, ma la reazione poi è stata: tutto qui?».

Poco dopo lei è rimasta vedova, e i suoi figli sono dovuti crescere senza padre. «La differenza è che a Nina non è stato tolto un genitore: il padre non c’è, c’è un donatore. Che va bene se a ricorrere alla Legge 40 sulla procreazio­ne assistita è una coppia sposata con maschio sterile, mentre in quelle omosessual­i non lo si accetta: è discrimina­zione. Il giudice Melita Cavallo ( ex presidente del Tribunale per i minori di Roma, ndr), che ha consentito una stepchild adoption a una coppia gay, non ha fatto altro che applicare l’attuale legge sull’adozione dove si parla di correspons­abilità genitorial­e tra un genitore biologico e una seconda persona fondamenta­le per la crescita del bambino. Non è però giusto delegare ai tribunali: ci vuole una legge». Fra le argomentaz­ioni del fronte anti- ddl Cirrinnà, quali errori ci sono? «Tirare in ballo l’utero in affitto: è vietato dalla legge. Per ora facciamo le unioni civili, è un primo passo. Il problema è che in Italia non siamo abituati a un distacco fra genetica e genitorial­ità. Per me invece, che sono madre adottiva, il problema è risolto da 30 anni». Isabel le ha chiesto delle proprie origini? «Poco. Sua madre naturale aveva 14 anni, era una paria e l’ha lasciata dalle suore. L’abbiamo cercata, era sparita». Altre cose che vengono dette e la irritano? «Dicono che certe cose non sono naturali, e quindi sono sbagliate. Ma la chemio è naturale? Lo sono le cure ormonali? E non accetto quelli che manifestan­o in nome di Dio: è una scusa per discrimina­re. Un cammino spirituale aiuta a essere migliori, finché non diventa integralis­mo. C’è disinforma­zione, su Internet mettono immagini grottesche di un Gay Pride dicendo: affiderest­i loro i tuoi figli? Io non li affiderei a una come la Franzoni». Lo scontro è quindi inevitabil­e? «È più semplice il tu per tu. Abbiamo battezzato Nina in un paesino del Sud: il prete l’ha presentata a tutti, i fedeli hanno battuto le mani, il pecoraio ha mandato una caciotta, sono venuti a fare le congratula­zioni. E mio padre ha ricostruit­o un albero genealogic­o con ultima arrivata Nina».

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