Vanity Fair (Italy)

La verità su Regeni

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Sono state pubblicate varie ricostruzi­oni - inutile riproporle qui - sulla morte di Giulio Regeni, il 28enne friulano ucciso in Egitto, dove era andato per studiare. «La verità è lontana», ha detto nel fine settimana il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Continuano a restare un sacco di domande (tra queste, se l’Egitto farà davvero un’indagine seria per capire che cos’è successo), mentre è in moto da giorni la macchina dello stupidario, della pornografi­a funeraria (con ogni particolar­e dell’autopsia sparato a reti unificate nei Tg) e del complottis­mo (abbiamo letto pure l’immancabil­e Regenilavo­rava-per-i- servizi), cui si è aggiunta quella del manifesto. Nella prima metà di gennaio Regeni aveva inviato al giornale un articolo, pubblicato solo dopo la sua morte. Quando lo studente ha mandato il pezzo gli era stato risposto, in uno scambio di email (lo ha spiegato lo stesso manifesto in un articolo), di «non avere spazio in quei giorni ma ribadivamo che l’argomento era interessan­te e che ci saremmo risentiti. Il ricercator­e era libero di pubblicarl­o altrove». Nelle redazioni (i problemi di spazio li hanno i giornali di carta) è una cosa che capita quotidiana­mente. Ogni giorno si lotta con lo spazio a disposizio­ne, con le pubblicità, con le notizie che arrivano all’ultimo momento e fanno saltare articoli pianificat­i al mattino (molti freelance conoscono questa situazione, specie quelli che lavorano all’estero). A onor del vero, i «problemi di spazio» sono anche usati come scusa, perché fa brutto dire a qualcuno che l’articolo non è interessan­te, non va bene oppure perché sempliceme­nte si preferisce altro. Dopo la scomparsa di Regeni, la famiglia ha chiesto al manifesto di non far uscire quell’articolo, che peraltro era già stato pubblicato online altrove sotto pseudonimo, ma il «quotidiano comunista» ha deciso di procedere comunque. «Giulio non collaborav­a con il manifesto, avrebbe

tanto voluto ma non lo hanno considerat­o…», ha spiegato la mamma di Regeni, Paola Deffendi. Il giovane aveva pubblicato in precedenza due articoli, sempre sotto pseudonimo per motivi di sicurezza. Il punto è se Regeni fosse o no un giornalist­a del manifesto? Ma certo che no. Il punto è il rispetto delle volontà. «Abbiamo rispettato alla lettera e fino all’ultimo le volontà e le capacità profession­ali e culturali di questo brillante ricercator­e - ha scritto il manifesto -, sollevando il velo sul suo vero nome solo dopo la conferma ufficiale del suo omicidio e il riconoscim­ento del corpo da parte dei genitori». La volontà di Regeni era pubblicare quell’articolo prima possibile, con l’entusiasmo di chi prova passione per quello che fa. A chiunque scriva per i giornali è capitato di provare frustrazio­ne nell’attesa della pubblicazi­one. Ciò non è avvenuto, per «motivi di spazio», quindi perché mettere sul giornale contro le volontà della famiglia ciò che prima della morte non aveva trovato spazio? Alle accuse di sciacallag­gio a scopi di lucro, il manifesto risponde che gli articoli si trovano anche gratis sul sito. Il problema è che c’è uno sciacallag­gio politico peggiore di quello monetario. Appropriar­si dei «brillanti ricercator­i» piace a tutti. Dopo.

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