Vanity Fair (Italy)

IL MECCANISMO DEL FIFONE

Rieccolo a Sanremo, con un brano (che vi farà piangere) sul rapporto padre-figlia. Ma il cantante degli Stadio, GAETANO CURRERI, ammette di sapere pochissimo sull’argomento, e su altre cose. Che preferisce spiare dalla finestra

- FOTO di RAFFAELLA SERINI DANIELE BARRACO

Vasco insiste per insegnarmi a usare WhatsApp. Ma solo il pensiero mi mette l’ansia: il telefono per me è un oggetto indomabile». Tra Gaetano Curreri e Vasco Rossi, sappiamo già chi la spunterà. «Anni fa stavamo andando insieme in macchina a Milano. Io avevo la patente ma dal giorno dell’esame non avevo mai più guidato. Lui, al volante, a un certo punto si sente male e mi dice: “O guidi te o facciamo l’autostop”. Così, ho cominciato a guidare». Alleati (agli antipodi) nella vita e complici nella musica («Io seguo tutte le regole, lui le regole le fa»), il cantante degli Stadio e il re del rock italiano sono, da oltre quarant’anni, la quintessen­za dell’amicizia tra maschi. «Vasco dice che sono tutto arrosto e niente fumo. Lui per me è come il vento: mi porta sempre dove batte il cuore». Il loro cuore batterà insieme anche nel nuovo disco degli Stadio, Miss Nostalgia: nel brano Tutti contro tutti ci sarà una «incursione» a sorpresa di Vasco, come non accadeva da 30 anni. «Ero in studio a registrare e lui ascoltava. All’improvviso si è precipitat­o al microfono e ha detto “questa la canto io”. Evidenteme­nte era una cosa che gli stava a cuore». Prima che nel disco, però, gli Stadio li sentiamo a Sanremo, con la commovente (davvero) Un giorno mi dirai. «Tutte le volte pensi di non tornarci mai più, poi arrivi a ridosso del Festival con una bella canzone e dici perché no. Per noi la classifica conta poco, sennò avremmo lasciato perdere già nell’86, quando con Canzoni alla radio arrivammo ultimi». Gli altri big in gara quest’anno li conosceva tutti? «Ho avuto un po’ di dubbi con i Dear Jack e il cantante, non sapevo che si erano divisi. Su quelli di X Factor sono più preparato: ho la television­e fissa su Sky Sport, ogni tanto li vedo passare». Noemi la conosce bene, però. «Lavoriamo spesso insieme, è diventata una di famiglia. Ci piace perché ha una voce e un animo un po’ vintage». Il disco nuovo degli Stadio è un concept album sulla nostalgia: scelta doppiament­e vintage. «A me i concept album piacciono perché dentro c’è una storia. Qui è la nostalgia come memoria. Non solo il “come eravamo felici”, ma una presa di coscienza su come eravamo». La nostalgia di gioventù è canaglia? «No, forse perché oggi mi guardo allo specchio e mi vedo migliorato rispetto a quando avevo vent’anni». I ventenni di oggi come li vede, invece? «Ai ragazzi vorrei trasmetter­e l’idea che c’è una strada che possono percorrere, anche se il tempo che viviamo non ci permette di essere progettual­i: sembra che abbiamo tutto sotto controllo e non è vero un cazzo. Musicalmen­te sono tutti preparati, ma finiscono triturati dal meccanismo della musica vissuta come sottofondo e non “sedersi a casa con le cuffie e ascoltare una storia”». Deleghiamo la memoria alla tecnologia. «Nessuno ha un album di foto in casa, abbiamo Instagram. E tra poco non avremo neanche più un cd, una cosa che mi dà angoscia. Ascoltare l’Album Bianco dei Beatles su Spotify non è come prendere il disco, aprirlo, guardare le foto, vedere chi ha fatto una cosa e chi l’altra». Rimini, del nuovo album, parla di un amore adolescent­e. Il suo? «Sì, ma non l’ho scritta io. Quando l’autrice me l’ha consegnata, le ho detto: “Chi ti ha raccontato quello che facevo quando avevo 16 anni?”. In quei versi c’è tutta la mia giovinezza, le estati a Cervia con gli amici, i primi amori e le cose stupide che dici a quell’età: farò tutto per te, mi ammazzo se mi lasci. Io le ho dette». È sposato da tanto: l’amore col tempo è meno stupido? «Per fortuna si diventa amici, sennò sai che fatica. Quello di Rimini è amore leggero e ideale, in Un giorno mi dirai invece consolo, da padre, una figlia segnata dall’amore “vigliacco” di un uomo che, dopo anni, davanti alla sua richiesta – “Ci vogliamo sposare?” – dice no e se ne va». Per questo abbiamo tutti voglia di «tornare a Rimini», prima o poi. «Io no, perché quell’amore lo vedo ancora intorno. Abito vicino all’Università e tutti i giorni assisto a scene meraviglio­se tra ragazzi – sguardi profondi, baci struggenti, abbracci – che mi fanno correre al pianoforte e scrivere. Io di coraggio ne ho poco, così ho sviluppato il meccanismo del fifone: vivo le emozioni attraverso la narrazione». Infatti canta una canzone sul rapporto padre-figlia senza essere padre. «Perché sono un guardone, osservo. Tanti miei amici hanno avuto problemi con figlie – di amore, di anoressia – e io li ho vissuti insieme a loro. Ho l’autorevole­zza delle canzoni, le persone vengono da me e chiedono: “Cosa diresti te che parli bene d’amore?”. Gli amici mi hanno sempre “usato”: prima per intortarsi le donne, oggi per consolare le figlie». Un giorno mi dirai

è anche un inno alla fragilità del maschio. «Un padre che piange davanti a un figlio è ancora un tabù, invece la lacrima aiuta ad abbracciar­si. Non a capirsi, ma a condivider­e sì. Un genitore che non nasconde i suoi dubbi e le sue fragilità, un figlio lo apprezza di più». Non avere figli suoi è un rimpianto? «È stata una scelta: potevamo adottare ma non eravamo convinti. Oggi sono contento di affrontare al Festival un tema come questo: un dialogo su amore e sesso tra un padre e una figlia grande». Ha fatto molte rinunce per paura? «No, perché mi accontento. Anche solo di sognare e immaginare quello che potrei fare. È un privilegio, sa? Fai molta meno fatica».

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