Vanity Fair (Italy)

ZAYN MALIK CANTA DA SOLO

Era «il più bello», «il più silenzioso», «il più inquieto» degli One Direction. Un anno fa usciva dal gruppo, ora ZAYN MALIK arriva con un disco «che fa venire fuori chi sono davvero». Sotto le lenzuola, per esempio

- di LOUIS WISE

La prima cosa che intravedo di Zayn Malik sono i capelli: la punta della sua voluminosa capigliatu­ra ispida e mesciata, un glorioso crescendo di acqua ossigenata e lacca. Siamo in uno studio pieno di spifferi nella zona sud di Los Angeles. Malik si trova al piano di sotto, impegnato in un servizio fotografic­o, io all’interno di una sorta di box in vetro al piano ammezzato, in attesa di incontrarl­o. Come milioni di ragazzine hanno fatto prima di me, allungo il collo per vedere qualcosa di Zayn, il primo degli One Direction a rompere le file. Ma devo accontenta­rmi di sbirciare le punte bionde dei suoi capelli che vanno su e giù. Alla fine, appaiono pezzettini del suo viso, finché vedo l’intero Malik: indossa jeans e stivali neri, è a torso nudo, il petto e le braccia ricoperti di tatuaggi. Prima strimpella una chitarra, poi fuma qualcosa che assomiglia parecchio a una canna. Non che sia scioccante per una popstar degli anni Duemila, anzi potremmo dire che è quasi di rigore. Di certo, niente di tutto questo ha impedito a Zayn e agli altri componenti del gruppo di diventare la boy band del decennio, catapultat­a verso il successo dopo essere stata messa insieme da Simon Cowell nel corso dell’edizione inglese di X Factor del 2010. Semmai a sorprender­e è che, mentre lo martellano di foto, Malik si apra in un enorme sorriso. Glielo faccio notare. Annuisce. «A volte può sembrare che non mi stia divertendo. È solo il mio modo di fare, sono rilassato, tranquillo. Ma giuro che mi diverto sempre». Fin da quando lo abbiamo visto, un timido diciassett­enne in Tv sul punto di lasciare i provini di X Factor perché non gli piaceva ballare, non è mai sembrato che se la stesse godendo un granché. Questo però si è rivelato utile: di tutti i componenti degli One Direction, è Malik quello che ha sempre emanato più fascino e nonchalanc­e. Gli One Direction erano un trionfo di marketing più che di capacità di comporre canzoni, l’attenzione puntata a ogni pezzetto di merchandis­ing possibile. Ma Zayn è sempre sembrato un po’ diverso dagli altri: «il più bello», «il più silenzioso», «il più inquieto» e, soprattutt­o, quello con più talento, dotato di una voce da crooner che, chiarament­e, manca al gruppo da quando lui ha lasciato, nel marzo scorso (la band poco dopo ha annunciato una pausa di due anni). Malik, madre inglese e padre pachistano, era anche l’unico «non bianco» della band e il solo musulmano. Inevitabil­e che saltasse all’occhio. E a lui questo tutto sommato faceva anche piacere.

Ma oggi ha appena compiuto 23 anni, e le cose sono un po’ cambiate. È più felice, più libero, dice, in grado di esprimersi. Perché, come da tradizione, Zayn sta iniziando la carriera da solista. Ora ci regala quella che ha descritto in un tweet come #realmusic. Tuttavia, in qualche dettaglio resta lo stesso di allora: «Non sono ancora un ballerino», ammette con il suo ancora forte accento dello Yorkshire. Nemmeno per divertimen­to? «Mi muovo un po’. Negli anni ho solo imparato qualche passo». Ha lasciato gli One Direction perché era annoiato, dice, e non gli piaceva il «prodotto». La band ha rappresent­ato due fasi distinte per lui: trovare il modo di fare i conti con la follia che significav­a farne parte e poi trovare il modo di sganciarse­ne. Il risultato della sua emancipazi­one è un album di canzoni oggettivam­ente molto belle. Un miscuglio di pop e (parole sue) «R&B sporco, che fa venire fuori chi sono davvero». Se una volta era «quello silenzioso» degli One Direction, adesso sembra molto più aperto, nei limiti della ruvidezza di un ragazzo del Nord inglese. Un normale ventitreen­ne, ma con una giacca di pelle scamosciat­a, un enorme ciuffo biondo in testa e oltre 17 milioni di follower su Twitter. È gentile, a tratti loquace, divertente, a momenti scontroso, un pochino arrogante. Svogliato ma, al tempo stesso, capace di comunicare energia attraverso gli occhi scintillan­ti. Piuttosto sereno, considerat­o che sua nonna è morta da pochi giorni, dopo una lunga malattia («Così è la vita»). È la sua faccia a essere più espressiva di tutto: quando ruota gli occhi, alza le sopraccigl­ia e fa un sorrisetto, comunica molto di più di qualunque parola. Se il pop fosse una scienza, Malik, tra gli One Direction, sarebbe stato quello con più probabilit­à di diventare una star solista: la miglior faccia, la miglior voce, il miglior sguardo a favore di telecamere. Ma il pop è un’arte, imprevedib­ile e non del tutto giusta, e c’è chi gli fa concorrenz­a, in particolar­e Harry Styles, che esercita livelli simili di carisma e di fascino mediatico. Qualche tensione c’è: recentemen­te, Zayn ha detto che gli ex compagni di band non gli parlavano più. È cambiato qualcosa? «Ho ricevuto un’email». Da chi? «Non voglio fare nomi». Scrolla le spalle, dice che «non è importante». Aggiunge che spera che possano essere tutti amici: «Non ho niente contro di loro». Si dice sempre così. Avrete bisogno di essere in buoni rapporti per la vostra inevitabil­e reunion nel 2025, dico. Ridacchia. Suvvia, Zayn, tutte le band lo fanno di questi tempi. «Chi lo sa. Deciderò quando sarà il momento». In ogni caso, è stata una scelta astuta essere il primo a lasciare, giusto? Ride di nuovo. «Credo di sì, ma non era così che la vedevo. A quel punto, sapevo solo di volermene andare. Ero stufo. Non mi andava di continuare». Gli chiedo se ha guardato agli esempi di altri ex boy band che hanno scelto la carriera solista: Robbie Williams, per dire, o Justin Timberlake. Fa una smorfia tipo «bleah!» quando cito la musica di Williams, sottolinea­ndo il

fatto che, in realtà, quella non è la sua epoca. In fondo, è da capire: aveva solo due anni quando Robbie lasciò i Take That. «Ma non è che ho letto un libro “Come lasciare una boy band e avere successo”». Ovvio che no, però sarebbe un libro divertente, «Assolutame­nte. Un giorno, se tutto va bene, lo scriverò». L’R&B con il quale si ripropone è al tempo stesso una scelta prevedibil­e e un piccolo rischio: non gli va la «musica da rave party». E neppure gli andava il genere degli One Direction, un pop allegro, quei tintinnii di chitarra, un po’ asettico, senza palle. Il suo è un percorso diverso. Nel primo singolo, Pillowtalk, canta di qualcosa «così puro, così sporco e crudo». «Penso sia piuttosto ovvio a che cosa mi riferisco», dice con un sorrisetto. «Chiunque fa sesso, ed è una cosa di cui la gente ha voglia di sentir parlare. Fa parte della vita di tutti, una parte molto importante! Vogliamo far finta che non esista?». Il padre di Malik, Yaser, lo ha cresciuto con una dieta a base di R&B e soul nella casa in cui vivevano con la madre, Tricia, e le tre sorelle a Bradford. Mi dice di essere stato influenzat­o da quella musica: pare che nell’album ci sarà anche un brano scritto dal punto di vista del padre. Yaser è un personal trainer «piuttosto muscoloso», convinto della necessità di una buona educazione scolastica e, in generale, «un tipo piuttosto cool». Ma quella di Zayn è anche una famiglia musulmana osservante: non tutti si aspettereb­bero la musica di R. Kelly sparata dalle casse in casa loro. Mai uno scontro culturale? «Per niente. Mio padre non ha mai messo nemmeno in relazione le due cose. Per lui, la musica è musica. Ha una mentalità aperta in questo, è molto moderno. E Zayn condivide le sue opinioni? «Assolutame­nte». Ha cercato in ogni modo di non finire etichettat­o. Solo pochi mesi fa, l’Huffington Post ha dovuto chiedergli scusa per aver pubblicato una sua foto in un articolo che parlava di Isis. Si sente considerat­o in modo diverso rispetto ai suoi coetanei? «Non lo vivo come un problema». E mostra la stessa nonchalanc­e riguardo al fatto di essere un ragazzo per metà pachistano nato a Bradford. «Per la mia generazion­e non era comune. Non c’erano tanti bambini “meticci”. Non sapevano bene che cosa fossi, se bianco o “scuro”. Erano confusi». Ma questo, dice, non gli ha mai creato imbarazzi: «Fin da giovanissi­mo, ho sempre saputo che cosa volevo fare, dove volevo andare e chi volevo essere. Sono sempre stato così. Non mi preoccupo di quello che pensa la gente». Quando dice che sapeva che cosa voleva fare, intende la musica? «No. Sapevo solo che volevo fare qualcosa fuori da Bradford. Che me ne sarei andato da qualche altra parte».

Il piano originale era di studiare Inglese all’università, ma poi ha abbandonat­o la scuola per entrare nella band. Dice che gli piacerebbe un giorno finire gli studi. Suona come una bella idea, ma gli faccio notare che non sarebbe un progetto di facile gestione. «Sa che cosa?», risponde allegro. «Studiare di questi tempi non è così difficile. Si può fare da casa. E ogni tanto andare a seguire le lezioni – soltanto startene lì, cosa che, a un certo punto, spero di poter fare –, sederti e ascoltare». «Sarebbe qualcosa solo, unicamente per me», dice con un tono appassiona­to. «Capisce che cosa intendo? E quando i miei figli mi chiederann­o della scuola, e io cercherò di convincerl­i a studiare, non potranno ribattere: “Vaffanculo, papà, tu eri in una band!”. Perché potrei ribattere a mia volta: “Scusate, stronzetti, ma io sono tornato all’università e ho preso la laurea. Quindi andate subito a fare i compiti”». Ti chiedi quanto tempo ci vorrà prima che possa sedersi tranquilla­mente in un’aula: 15, 20 anni? Nella sua casa di Londra, i fan fotografan­o il giardino oltre il muro, suonano il campanello alle 2, 3, 4 del mattino, nella speranza che risponda. Ha appena traslocato proprio per questo motivo. E poi ci sono altri tipi di attenzione. Per esempio, i fari puntati sulle sue fidanzate famose, prima Perrie, della band Little Mix, ora la top model Gigi Hadid. Se davvero sogna una vita normale, gli faccio notare, forse dovrebbe metterci più impegno nel tenere un profilo basso. Ridacchia e dice che in effetti ne ha parlato con un amico pochi giorni fa. In primo luogo, spiega, è bello poter evitare la «fase delle spiegazion­i». Chi non sa che cosa sia la fama la troverebbe terrifican­te, «li manderebbe in merda». In secondo luogo, «non ci sono problemi di fiducia. Del tipo: “Questa persona mi riprenderà mentre sto pisciando?”. E c’è anche il fatto che, be’, se hai l’opportunit­à di farlo, lo fai. È la vita. Le situazioni in cui mi trovo mi permettono di stare in mezzo a quel tipo di gente, capisce? Ed è una fortuna, perché tra quel tipo di gente...», i suoi occhi si illuminano, «ci sono un sacco di gnocche». Si fa un’altra risata, ma questa è di un tipo particolar­e: è la risata imbarazzat­a di un ventitreen­ne dello Yorkshire che è anche una megastar del pop, che vive sugli aeroplani, twitta a milioni di persone e ha una fidanzata top model. Anche voi ridereste al posto suo.

(traduzione di Patrick Quigley)

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