Vanity Fair (Italy)

IVANA SPAGNA, GATTI E FANTASMI

Nel 1986, con Easy Lady, IVANA SPAGNA diventava sempliceme­nte Spagna, e un fenomeno internazio­nale. Trent’anni dopo, qui ricorda. Due genitori troppo perfetti. Molti amori sbagliati. E un figlio prima non voluto, poi tanto voluto

- di ENRICA BROCARDO

«MI SA CHE “QUALCUNO” MI HA MANDATO QUESTO ESERCITO DI GATTI PER CONVINCERM­I AD ANDARE AVANTI»

Iniziamo parlando di gatti. In casa ce ne sono quattro: Lorenzino, Theo (come suo fratello), Ivan (da Ivana) e Betty, l’ultima arrivata. Un’altra ventina sta fuori: randagi della zona, ai quali Ivana Spagna procura pappa fresca e cucce termorisca­ldate. «Li ho chiamati con nomi da indiani: Guancia che scende perché ha il facciotto, Tre palle perché ha due testicoli enormi, Coda di volpe, e così via». Per loro, giura, ha smesso anche con la chirurgia plastica. «Se muoio sotto i ferri, chi pensa ai mici?». E poi ci sono le anatre: «Compro il pane apposta per loro. Vederle che mangiano mi dà grande gioia». Ivana Spagna – sempliceme­nte Spagna da quando, esattament­e trent’anni fa, con Easy Lady diventò un fenomeno internazio­nale – abita al primo piano di una villa sul Lago di Como. Ha scoperto che era appartenut­a a Giulio Ricordi – famoso per essere stato l’editore di Verdi – solo dopo averla comprata. Un’altra mezz’ora buona la passiamo a parlare di premonizio­ni e fantasmi. In questa casa ne ha visti un paio. «Non so se esista un’anima, ma sono convinta che dentro abbiamo un’energia che si libera quando non ci siamo più. Quando mia madre è morta ( di tumore, nel 1997; suo padre se n’era andato nel 1988, per un cancro al pancreas, ndr), sono rimasta sdraiata al suo fianco tutta la notte. Fino a un certo punto ho visto la mia mamma, poi solo il suo corpo. Non so come spiegarlo. Tre mesi dopo, durante una delle tante notti che ho passato insonne per il dolore di averla persa, ho sentito la sua voce. Mi diceva, in dialetto: “Dormi puteletta che te se stracca”. Ma non è che quando leggeranno l’intervista penseranno che sono matta?». Nella sala, sul pianoforte, ci sono un po’ di Telegatti, premi vari e una coppa poco più grande di un bicchiere, il metallo opacizzato dal tempo. Il suo primo concorso e il suo primo premio. «Ero arrivata seconda. Una gara canora a Desenzano del Garda, nel 1966. Di ritorno verso casa, ci siamo fermati al bar e mio papà l’ha posata con orgoglio sul banco. Se penso a che cosa c’è, dentro quella coppetta lì». C’è anche una foto di lei, qualche anno fa, con Tina Turner. «Mi aveva invitato al suo compleanno. Che cosa regali a una così? Allora le ho fatto un ritratto a olio. Solo che al momento di impacchett­arlo era ancora umido, così l’ho messo in forno. È diventato un cracchè che era uno spettacolo». Di lato, due immagini dei suoi genitori da giovani.

Sa che cosa mi ha colpito della sua vita? Che una persona così legata ai genitori, alla famiglia, che descrive la propria infanzia come un periodo meraviglio­so, non abbia avuto figli. «Veramente una volta, all’inizio degli anni Novanta, sono rimasta incinta e ho avuto un aborto spontaneo verso i tre mesi e mezzo, durante un tour. Però devo dirle anche un’altra cosa: non ero contenta di aspettare un bambino». Perché? «La mia relazione con quello che sarebbe diventato il padre era in crisi da tempo e mia madre era malata di tumore. Stavo con lei tutto il tempo possibile. Un giorno partii da Milano per andare da lei, in auto, con la borsa del ghiaccio sulla pancia per arginare l’emorragia. Non le ho mai detto di essere incinta, mi avrebbe vietato di andarla a trovare. In tutto questo, il mio partner mi era vicino zero. Prima di rientrare a casa mi fermavo a truccarmi, per non fargli vedere che avevo pianto. Una sera, ero a pezzi, mi disse: “Con che faccia che torni a casa”». Quindi quell’aborto spontaneo lo ha vissuto come un sollievo? «No. Le spiego: all’inizio quel bambino non lo volevo in nessun modo, facevo ginnastica, step, tutto per cercare di perderlo. Ma poi, forse succede a tutte, mi è scattato dentro qualcosa: si vedeva già un po’ di pancetta, me la toccavo. È stato allora che è successo. E siccome a quel punto avrei voluto tenerlo, ho aspettato e aspettato, tanto che ho rischiato la setticemia. In seguito, però, mi sono detta che era stato meglio così. Dopo che mia madre è morta, ho chiuso quella relazione e anche ora, a distanza di tanto tempo, continuo a preferire che sia andata a quel modo perché nel mondo succedono troppe cose orribili. Non sa quante notti le passo a piangere, col magone». Di cose orribili ne sono capitate sempre. «Sarà. Ma, invecchian­do, le sopporto meno. La sofferenza è una cosa che non riesco più a metabolizz­are ( si commuove). Mia madre a me e a mio fratello ci rincorreva per strada con il tè e i biscottini. Mi diceva: “Come mamma tu sarai pure peggio”. Aveva ragione. Sarei stata troppo apprensiva, avrei tenuto i miei figli sotto una campana di vetro. E non sarebbe stato giusto». Mi parli ancora della sua vita amorosa. «I miei genitori erano una coppia meraviglio­sa. Mio padre non aveva soldi per comprare regali, però le lasciava sempre bigliettin­i, un fiore. Avrei voluto facessero lo stesso con me. Non è successo. La loro relazione così perfetta mi ha penalizzat­a. C’era sempre qualcosa che non andava. Quando mi chiedevano quale fosse il mio uomo ideale, rispondevo: buono, sincero. Se non mi fido, viene fuori un disastro. Un mese fa, ho rivoluzion­ato di nuovo la mia vita. Mi sono lasciata con Ugo ( Cerruti, ndr), mio manager e avvocato. Stavamo insieme da quindici anni. Mi sono fatta coraggio e l’ho chiusa io. Ma lavoriamo ancora insieme perché io gli voglio un bene dell’anima».

Che cosa non andava, allora? «C’erano mille malintesi, tensioni, litigi e, diciamolo pure, tradimenti. Io, quando mi accorgo che mi hanno detto una bugia, non riesco a far finta di niente. Vivo male e faccio vivere male anche l’altro. Ora lui si può fare le sue storie e io sto più tranquilla. Senza dover ingoiare rospi». È la storia più lunga che ha mai avuto? «No. Anche la mia prima relazione importante con Larry ( Pignagnoli, con cui lavorò agli inizi della carriera, ndr) era durata 15 anni. Siamo rimasti amici, come con tutti i miei ex, tranne uno. Mi piace. Vuol dire che ho costruito qualcosa che ancora fa parte della mia vita». Nel 1992, a Las Vegas, si sposò con il produttore musicale Patrick Debort. «Ah, quella è la relazione che è durata meno in assoluto: una settimana. Ci eravamo conosciuti otto anni prima: per me era stato un colpo di fulmine, ma lui era sposato e io stavo ancora con Larry. Così, ogni tanto era capitato di vedersi, ma non era mai successo niente». Non ha mai tradito? «No. Non perché abbia paura di venire scoperta. Sempliceme­nte, non vorrei che lo facessero a me. Ma nei periodi in cui ero sola, ho avuto le mie fasi di “deregulati­on”». Sesso? «Anche. Ma la parte che mi piace di più è quella platonica. Andare a mangiare insieme, parlare, guardarsi negli occhi. Fantastica­re. Sono rimasta bambina, immatura». Torniamo al matrimonio lampo? «Io ero diventata single e lui si era separato dalla moglie. Venne a trovarmi a Los Angeles e passammo un mese insieme. Bellissimo. Mi chiese di sposarlo. Mi consultai con un sensitivo: “Non farlo: durerà solo una settimana”. E così ho temporeggi­ato. Alla terza volta che me lo chiedeva, mi sono detta: ma son scema? Mi piace, ci sto bene». Il matrimonio è mai stato registrato in Italia? «No, perché mi sono separata prima». Che cosa le aveva combinato di così terribile in sette giorni? «A volte anche i piccoli dettagli ti fanno aprire gli occhi. Ma la decisione l’ho presa quando siamo andati in Francia dai suoi genitori e mi sono trovata la sua presunta ex in casa. Poi un giorno, ascolto i messaggi della segreteria telefonica: una sfilza di donne. Mi son detta: cara Ivanina, hai fatto una scelta azzardata. E ho chiesto immediatam­ente il divorzio». Decisionis­ta. «Solo quella volta lì. Di solito ho il problema inverso. Anche se mi accorgo che una relazione non va, la trascino. Lo stesso nel lavoro. Se mi fanno firmare un contratto – il che vuol dire che hanno voluto il mio impegno scritto – e c’è un appiglio legale per rompere, lo faccio. Ma se ho dato la mia parola, tiro avanti perché non mi va di tradire la fiducia. Dev’essere stato per quello che ho avuto il coraggio di divorziare in fretta: avevo firmato». Parliamo del futuro: che cosa vorrebbe? «Ritornare a scrivere canzoni. Ho ripreso di recente. La rabbia e la tristezza non aiutano. Però, le posso dire una cosa? La notte in cui vinsi il Festivalba­r, nel 1987, la passai a letto a piangere. Perché, a parte le soddisfazi­oni della carriera, ero sola. Invece di una storia d’amore, avevo soltanto casini». Quindi? «Vorrei trovare un po’ di serenità, equilibrio, tempo, energie e affetto per me stessa. Preferisco stare da sola piuttosto che uscire con gente che non mi interessa. Meglio leggere, sentire le anatre che fanno quaquaqua, veder crescere una piantina. E se a volte penso che sono stufa di vivere, mi guardo intorno e mi dico: Ivanina, e i gatti? Mi sa che “qualcuno” mi ha mandato questo esercito di mici per convincerm­i ad andare avanti. Poi, sogno anche un’altra cosa. La faccio ridere?». Mi dica. «Una storia bella, anche solo un’amicizia. Qualcuno che sappia dividere con me i discorsi, una cena. Le cose semplici ( Si blocca. Guarda fuori dalla finestra). Mi sa che mi prenderann­o per matta».

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FOTO AMILCARE & ALEX
 ??  ?? ALBUM PRIVATOAcc­anto, Ivana a 16 anni in spiaggia con le cugine (è la più a sinistra). In alto a destra,a Los Angeles nel 1990.Da sinistra, in primo piano:il batterista Stephen Bray, Ivana, il suo fidanzato LarryPigna­gnoli, il produttore­musicale Guy Roche. Sopra, ai tempi di Easy Lady, 1986.
ALBUM PRIVATOAcc­anto, Ivana a 16 anni in spiaggia con le cugine (è la più a sinistra). In alto a destra,a Los Angeles nel 1990.Da sinistra, in primo piano:il batterista Stephen Bray, Ivana, il suo fidanzato LarryPigna­gnoli, il produttore­musicale Guy Roche. Sopra, ai tempi di Easy Lady, 1986.
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