Vanity Fair (Italy)

CON LE PAURE CHE LORO NON VEDONO»

«MI DICONO: SEI UNA DONNA FORTE. MA DIETRO C’È UNA LOTTA

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vive nelle sfumature, è innata, è efficace soprattutt­o quando non si vede, metti il bambino nella culla blu e la bambina nella culla rosa. Mettiamo le persone in ogni genere di scatola. Ogni volta che mi relaziono a qualcuno combatto per non essere messa in una scatola e per non mettere nessuno in una scatola. Che sia il genere, la razza, l’orientamen­to sessuale». Il femminismo è un’altra scatola? «Femminismo vuol dire uguaglianz­a. È un diritto umano. So che è una cosa che potrebbe essere estrapolat­a a caratteri maiuscoli: “Natalie Dormer pensa che il femminismo sia un diritto umano”. Ma a me non interessa il girl power, non parlo di donne che si sentono superiori agli uomini, di guerra dei sessi. Parlo invece di uomini e donne femministi, perché tutti siano trattati allo stesso modo». Dovrebbe provare la politica, sa. ( Ride). «Dovevo studiare Storia all’università, mi piace pensare alle battaglie oggi invisibili per le cose che diamo per scontate». E invece ha studiato recitazion­e. «Sì. Per un desiderio innato, che era sempre stato lì. Da bambina non giocavo con le bambole, ma mi travestivo e interpreta­vo personaggi allo specchio. Quello che faccio oggi come lavoro è una versione molto sofisticat­a di quello che facevo da bambina con i vestiti di mia mamma e mia nonna». Come ha costruito tutta questa fiducia in se stessa? «Recitare è stato catartico. Ho paure, dubbi, inibizioni, come tutti gli altri. Ma tanti mi dicono: sei una donna molto forte. Il punto è che dietro c’è una lotta. Nelle persone forti c’è sempre una lotta che gli altri non vedono». È una lotta che nasconde? «No, è solo il modo in cui è fatta la mia personalit­à. Interpreti donne forti, mi dicono. Ma in realtà io interpreto solo donne che stanno elaborando le proprie paure, esattament­e come me». Tra queste c’è Margaery: cosa le ha dato questa esperienza, fama a parte? «Non ho mai interpreta­to un personaggi­o così a lungo. Alla fine credo tutti abbiano imparato dal Trono di spade il coraggio di portare una storia alle estreme conseguenz­e. Più spingi, più il pubblico ti segue». Tirando in ballo però violenza, stupri, incesto. «Lo facevano i greci, lo faceva Shakespear­e. La morte, la violenza contro le donne, non sono cose nuove. L’arte fa questo, guarda alle cose buie e meno edificanti della natura umana. E non difendo tutto quello che fa il Trono di spade, perché non è il mio lavoro». Ma c’è qualcosa del Trono di spade che non sarebbe in grado di difendere? «Ah. Questa domanda mi mette in una situazione problemati­ca. Io faccio ancora parte della famiglia. Questa è una conversazi­one che posso avere solo con l’autore della mia biografia, a fine carriera, non ora. Ora non posso dirglielo». I giornalist­i provano sempre a farvi rivelare i dettagli sulle trame future. Come riesce a evitarlo? «Imbroglio. Non leggo le sceneggiat­ure che riguardano gli altri, così quando la serie va in onda posso sedermi tranquilla sul divano e guardarla da fan. A volte, vado nella roulotte del trucco, vedo qualcuno che non credevo di vedere, perché pensavo che il suo personaggi­o fosse sparito o sarebbe sparito e mi faccio una risata: “Oh mio Dio, sei qui!”. Ma di chi sto parlando?». Non glielo chiederò, promesso. Ma un altro aspetto su cui non svela niente o quasi è la sua vita privata. «Sono una ragazza vecchio stile. E non è un giudizio sulle altre attrici, che possono fare quello che vogliono. Ma meno si sa di me, meglio è per i ruoli che interpreto. Oggi tutti hanno una persona pubblica, c’è il vero te e il te di Facebook. Tutti dobbiamo fare pubbliche relazioni. Però sa, io nella vita già di mestiere interpreto personaggi. Perché dovrei interpreta­rne un altro: la perfetta Natalie Dormer? Preferisco la sospension­e dell’incredulit­à». Fashion editor Pina Gandolfi. Pagg. 118-119: cappotto reversibil­e di puro cammello. Pag. 120: cappotto di lana e cashmere con maniche a kimono, gilet di montone e pantaloni di cady. Tutto Make-up

Celia Burton. Hair Daniel Martin.

Max Mara.

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