Vanity Fair (Italy)

MA UNA CELEBRITY DI HOLLYWOOD»

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Come cominciò? «Andavo a trovarlo nel suo studio al 7 di Rue des Grands-Augustins, e si stabilì subito un rapporto basato sull’amore dell’arte: analizzava­mo Manet e Cézanne. All’inizio io ero ambivalent­e, ma a un certo punto non potemmo ignorare la passione, che si mescolava al desiderio di creare qualcosa di nuovo in campo artistico». In quello studio transitava­no Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, Hemingway e Cocteau: che cosa ricorda? «Picasso aveva bisogno della gente: ne traeva il nutrimento per creare. Allo stesso tempo voleva il suo spazio. Aveva risolto il problema ricevendo dalle undici e mezzo all’una e trenta. Ma non tutti erano trattati allo stesso modo. Il suo segretario divideva gli amici a seconda della vicinanza nelle due stanze al primo piano, e solo pochi erano ammessi nello studio dove lui dipingeva, al piano di sopra». Di che cosa si parlava? «Lui sperimenta­va con le persone come uno scienziato con le molecole, e passava il tempo a fare domande: analitico la mattina, creativo la sera, quando dipingeva». Era facile per lei continuare il suo lavoro di pittrice vivendo con lui? «Diciamo che mi feci piccola. Siccome lui era il pittore più famoso del mondo e io solo una ventenne, invece di dipingere continuai il mio lavoro disegnando su carta». Non una vita facile. «Scherzando, ogni tanto dico che ero come la settima moglie di Enrico VIII: sapevo che cosa era successo alle altre e quindi dovevo stare attenta. Sbagliano le donne che contano solo sulla propria bellezza: bisogna evolversi, sempre, in modo silenzioso se necessario. Quindi continuai a crescere, ma senza imporre il mio mondo e il mio peso. D’altra parte, il peso è un problema costante delle donne: se sono magre devono lottare per rimanerlo, se non lo sono devono perdere chili». Quando cambiarono le cose? «Dopo quattro anni che stavamo assieme un gallerista si interessò al mio lavoro, e ripresi immediatam­ente a dipingere su tela. E poi nel 1952 feci la mia prima mostra. Picasso la prese bene solo in apparenza, in realtà emotivamen­te ne fu sconvolto e fu l’inizio della fine. Ma a quel punto avevo accumulato abbastanza potere per sopravvive­re al di fuori del suo sistema». Era così impossibil­e stare con lui? «Non puoi avere tutto nella vita: se vuoi qualcosa devi ignorare il resto, e se vivi con un leone non puoi essere un topino. Le sue donne erano ancora presenti, di tanto in tanto. Ed era anche molto superstizi­oso, ma solo quando gli faceva comodo. Il problema fondamenta­le però erano i figli, perché lui non voleva che avessero un’educazione normale: da piccolo a scuola era stato un disastro, e le cose gli erano andate bene,quindi applicava il suo modello agli altri. Tutto ruotava attorno a lui e, alla fine, tra lui e i figli ho scelto loro». Ogni tanto le manca? «Mai! Con Paloma e Claude cerco di ricordare le cose belle di loro padre, ma a un certo punto il mio amore per lui finì. Non lo reggevano neppure più i suoi cari amici. Non era più un artista ma una celebrity di Hollywood: il suo ego si era gonfiato al punto che non considerav­a gli altri. Era sempre intelligen­tissimo ma pieno d’odio, e usava le sue qualità per fare del male agli altri. Matisse non era così: lui usava l’arte per mostrare il lato più piacevole della vita, non era solo un grande artista ma anche un grande essere umano». Come furono le sue relazioni successive? «Fui sposata per sette anni con un giovane pittore della mia età, e nacque una figlia, ma non andò bene e quindi mi convinsi di non essere fatta per il matrimonio. Per questo, quando Jonas Salk mi disse che voleva sposarmi, gli risposi che per me era un’assurdità. Ma poi mi diede un pezzo di carta e mi chiese di scrivere perché era così impossibil­e sposarsi. Quando scrissi che per metà dell’anno volevo stare per i fatti miei a fare quello che mi interessav­a, lui a sorpresa mi disse che avevo ragione, che è insopporta­bile passare tutto il tempo assieme. Quindi, stando lontani per lunghi periodi, siamo stati assieme 25 anni, fino alla sua morte. E ci siamo sentiti liberi». Che cosa direbbe alle donne che si innamorano di uomini molto più giovani di loro? «Che non so quanto si divertiran­no. Ma non per la differenza d’età: quella non conta nulla. È che gli uomini e le donne sono molto diversi, e anche se fanno uno sforzo per stare assieme non si capiscono mai veramente. E poi c’è il tempo che ti cambia, ma meno di quello che pensi. Insomma, a queste donne direi che è più complicato di quanto sembri».

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