SONO STATA DEPRESSA»
«HO CERCATO DI OMOLOGARMI, DI NASCONDERMI, DI FARE IL MASCHIO. NON ERO VERA, ERO UNA MASCHERA.
«Ho pianto», profondità». Tecnicamente, l’intervento si chiama inversione peniena. Con la pelle e le cellule e i nervi del fallo, il chirurgo ha giocato a Dio, impastandole una vagina. La sua profondità, apprenderò in seguito, è direttamente proporzionale alle dimensioni della virilità rinnegata. Nel 70% dei casi, anche questo mi sarà spiegato, i maghi thailandesi garantiscono la perfetta sensibilità dell’impianto.
dice. «Ho una
bella Con Laura, il medico di Genova, di queste cose non parlo. Tanto Sonia è femmina ed esuberante, tanto Laura è timida e meditabonda. L’unica cosa che hanno in comune è la clinica che le ha operate. Laura al collo ha un ciondolo di quarzo; il quarzo, dice, ha una struttura chimica simile al diamante, però è fatto di silicio. «Per me rappresenta la bellezza delle piccole cose». Il suo smarrimento è cominciato a 8 anni. «Mi sentivo fuori posto», dice. «Ho cercato di omologarmi, di nascondermi, di fare il maschio. Non ero mai vera, ero sempre una maschera. Sono stata a lungo depressa, fuori dal coro, disconnessa». Le piacevano le donne, voleva essere donna. «Sono lesbica. La mia transizione è cominciata in testa. Ho fatto tanta psicoterapia. Non ero la trans che una si aspetta. Ho iniziato a frequentare un’associazione, GenovaGaya. Da lì mi sono sbloccata, due anni fa». Mentre l’ascolto penso che siamo tutti un po’ maschi e un po’ femmine. L’identità non è data una volta per tutte, si costruisce e si trasforma tutta l’esistenza. E allora: perché il bisturi? Laura annuisce, paziente, e si muove sul piccolo salvagente di stoffa che la protegge. «Noi siamo testa e noi siamo corpo», dice. «Siamo un tutt’uno. Il mio rapportarmi con chi mi sta intorno passa attraverso il corpo. Quando chi sei è tanto lontano dall’immagine che dai, è tutto distorto. A quel punto, la chirurgia ti fa essere fuori quello che sei dentro. Crea un’armonia, integra i due elementi». Laura è a Bangkok con i genitori, che la sostengono. La mamma, una signora bionda, che legge Khaled Hosseini, dice che è stata devastante la sua depressione: «Così qualsiasi soluzione va bene». Il papà, un signore colto, un accademico, dice che la preoccupazione è per il suo futuro, quanto sarà accettata, che vita avrà. «Quando avete cominciato a chiamarla Laura?», chiedo. Il papà sorride. «Un po’ alla volta».
Il dottor Preecha Tiewtranon, titolare della clinica Preecha Aesthetic Institute (PAI), dal 1975 opera persone provenienti da tutto
il mondo. Al nonno, cieco, non l’hanno detto. E allora talvolta è confuso, talvolta sente quel nome e chiede, nell’oscurità: ma Laura, chi è? A Laura e a Sonia sono arrivata grazie a una soave signora thailandese, che di mestiere procaccia clienti a una delle più note cliniche di Bangkok. Si chiama Charee Sripaisalmongkol e nulla l’aveva preparata a questo mestiere, se non un incongruo anno di studio della lingua italiana a Corleone. La sua prima immersione avviene con una chiamata sette anni fa: il PAI, Preecha Aesthetic Institute, aveva bisogno di un’interprete per due ragazze sicule, era forse Charee disponibile? La clinica oggi ha sbancato, con mille pazienti all’anno, e la paga per occuparsi del marketing, cosa che fa con la sua società, Estetica Thailandia. Charee dice di essere prudente: a volte rifiuta. «C’è chi si presenta dicendo che il fidanzato la vuole donna. Uno ha chiamato dicendo hello sono gay e voglio la vagina. Non va bene. C’è confusione. Indietro non si torna. C’è gente che si pente. Il difficile è capire chi fa sul serio». Charee accetta soltanto chi è in cura ormonale e vive da donna e si veste da donna e si trucca da donna da almeno un anno. «In Thailandia è facile», dice. «Tutto ciò che ti serve è il denaro». La legge richiede la lettera di due psichiatri, ma è una formalità. «La verità è che se hai 13.000 euro – operazione più residence e voli – in due settimane torni a casa con nuovi genitali». In questi anni, ha capito diverse cose. In America, per esempio, non c’è libertà, lo fanno a 60 anni, dopo essersi sposati e aver fatto i figli. Gli italiani si lanciano da giovani e sono femminili, come gli asiatici. I turchi sono particolari, dice, sono come le trans di dieci anni fa del Sud d’Italia. E com’erano? «Esuberanti, chiassose. Una se ne andava felice in giro e a chiunque la notasse urlava “Operation!” alzando la gonna». Il pioniere delle «correzioni di genere» è un anziano gagliardo signore, titolare del PAI, il mitico dottor Preecha Tiewtranon. Il dottor Preecha è una fucina di aneddoti che risalgono al 1975, l’anno in cui si rese conto che quella era la sua via. Lavorava nel più grande ospedale pubblico, il Policlinico Chulalongkorn. «Arrivavano tanti pazienti mutilati. Chissà chi li tagliava. Sembravano mucche o cani, non c’era il buco, non potevano urinare. Così ho cominciato». I primi stranieri comparvero a inizio anni