Vanity Fair (Italy)

QUESTA MI PORTA VIA PAPÀ»

«LA NOSTRA ERA UNA FAMIGLIA ALLARGATA CHE HA FUNZIONATO BENISSIMO. NON HO MAI PENSATO:

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giovane che le diceva che papà stava giù, che era dispiaciut­o, si convincess­e a “dargli udienza”. Allora non me ne resi conto, ma fece una figura orrenda». Ha sofferto la sua assenza dovuta al lavoro e alle sue relazioni sentimenta­li? «Lo so che posso sembrare priva di sentimenti, ma non ho mai patito perché papà non era a casa, non mi portava ai giardinett­i. Era simpatico, leggero, amorevole. Non mi ha mai rimprovera­to. Molto generoso in tutti i sensi. Una volta, c’era anche Chiara, gli dissi: “Ma papà, smettila di darci tutti questi soldi”. Si arrabbiò: “Ma se non li do a voi, a chi li devo dare?”». Vi ha viziato? «No. Ma con Chiara è stato più attento, più presente soprattutt­o. Era più in là con l’età e questo conta. E anche per un senso di colpa nei confronti di questa ragazzina che non era la figlia “ufficiale”. Quando è nata, si è praticamen­te trasferito a Parigi». Ha mai capito la scelta di non divorziare? «Non voleva, diceva che comunque era legato a mamma. Dei due, era lei quella più propensa a farlo. Non so, forse anche per ripicca. Non ho mai pensato: questa donna mi porta via papà. Mi spiaceva per mia madre perché vedevo che ci soffriva». Molti pensavano che avesse avuto una storia anche con Sophia Loren. «Mi hanno chiesto parecchie volte se fra loro ci fosse stato qualcosa: assolutame­nte no. Per lei provava affetto e stima, e sul lavoro erano affiatatis­simi, nonostante fossero diversi per abitudini, carattere. Non era il suo tipo di donna». Suo padre è morto a Parigi. Era con lui quando è successo? «Ero appena tornata in Italia, quando mi chiamò mia sorella. “Hanno cominciato a somministr­argli la morfina. È meglio che torni subito”. Presi il primo aereo possibile. Quando arrivai era morto da un’ora». Che ricordi ha della sua malattia? «Durò quasi due anni. Prima un’operazione, poi la chemiotera­pia, e un secondo intervento ( aveva un tumore al pancreas; anche la madre di Barbara è morta di cancro, nel 1999, ndr). Nel frattempo, però, aveva continuato a lavorare: un film e uno spettacolo teatrale (Viaggio all’inizio del mondo di Manoel de Oliveira e Le ultime lune, ndr) fino a quando dovette interrompe­re perché non si reggeva più in piedi. Non aveva dolori, ma era molto avvilito. I medici avevano interrotto le cure e lo avevano rimandato a casa. A meno di essere scemo, capisci che non c’è più niente da fare». Voleva continuare a vivere. «Sì, era molto incacchiat­o di dover morire. La religione magari aiuta ad accettarlo, ma lui era abbastanza ateo. Alla fine, passava gran parte del tempo davanti alla television­e, guardava documentar­i sugli animali. Mia sorella era incintissi­ma ( di Milo, nato il 31 dicembre 1996, ndr), ma lui si andava distaccand­o da tutto, anche dagli affetti. Mi disse: “Che faccio, mi affeziono all’idea di un nipotino che non vedrò mai?”». A chi è rimasto il materiale che ha lasciato: i premi, le fotografie? «A me. A parte alcune cose che ha preso Chiara. Stanno qui in casa alla rinfusa. Il disordine l’ho ereditato da mio padre. Sembrava sempre di passaggio. Gli piacevano le belle case, ma lui ci stava pochissimo. All’inizio degli anni Sessanta, volle comprare una villa sull’Appia Antica, con il giardino, la piscina, i cani. Finché il cantiere rimase aperto, era tutto felice. Poi se ne disinteres­sò. Una camera d’albergo gli andava benissimo». Allora perché trasferirs­i? «Sei ricco, famoso, pensi: “Faccio un salto di qualità”. Ci abbiamo vissuto dieci anni, poi siamo tornati a Prati. Lui, però, non ne aveva voglia. Un giorno mi portò in piazza Navona. “Vedi là in alto quella terrazza?”. Mi spiegò che c’era un appartamen­to in vendita. “Il panorama è meraviglio­so”. E mamma? “Il problema è lei. Io, invece, vorrei qualcosa di un po’ eccezional­e”. In certe cose era un bambinone, in senso buono». A parte comprare case, che cosa lo divertiva? «Uscire a cena, con pochi amici, in un buon ristorante. Ridevano, scherzavan­o, si raccontava­no barzellett­e. E andare in barca. Anche se – e sembra un controsens­o – non amava il mare: nuotava malissimo e non gli andava di prendere il sole. Se ne stava a bordo, un bel panorama ed era contento». Hobby? «Neanche mezzo. Gli piaceva lavorare e quando gli capitava di non avere nulla da fare per un po’, smaniava. Prendeva la macchina, andava a trovare il fratello ( Ruggero, montatore, morto anche lui nel 1996, ndr), qualcun altro. Un’anima in pena. Non l’ho mai visto seduto su un divano a leggere. Era pigro, ma solo fisicament­e. A camminare si stancava subito». Gli piaceva anche viaggiare. «Era tutto felice quando gli offrivano di girare un film fuori Roma. Anche solo in giro per l’Italia. All’estero, poi, era il massimo. Cibo diverso, una lingua differente. E il fatto di essere irrintracc­iabile. Qui era costretto ad abitudini e rituali che dopo un po’ gli rompevano le scatole». Lo ha mai seguito da qualche parte? «Una volta, a Mosca, perché doveva incontrare Nikita Michalkov, un anno circa dopo l’uscita di Oci ciornie. Non c’era niente da mangiare, era disperato. Mi portò in un piccolo supermerca­to per stranieri, comprammo pane, formaggio, frutta e mise la spesa nel frigobar. Non ha mai fatto il divo, si adattava a tutto, ma che non ci fosse cibo lo irritava. Quel film è uno dei miei preferiti. Il personaggi­o gli calza a pennello: un cialtrone, però buono». Mi sono andata a rileggere l’intervista che gli fece Oriana Fallaci, e nella quale lui si descrisse in modo orribile: ignorante, superficia­le, vigliacco. «Mi riesce difficile dire: papà era così. Ma sono certa che qualcuno quelle critiche gliele deve aver fatte. E lui stesso la pensava in quel modo». Le capita di sognarlo? «A volte. Lo rivedo com’era a cinquant’anni. E, per quello che può significar­e, sono sempre sogni allegri. Lui sta bene, è contento».

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