Vanity Fair (Italy)

SU SAVIANO

CHI STRAPARLA (E CHI TACE)

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viene infastidit­a dalla polizia, dai magistrati, dai carabinier­i, non da lui che si è arricchito con un libro». Cioè Gomorra. Non contento, ha insistito: «Ho spezzato una lancia a favore di magistrati e forze dell’ordine. Chi compra un appartamen­to panoramico a Manhattan e rivolge pensosi pensieri sulle sorti del bene in Italia è farlocco». I santini laici non mi piacciono, le mitologie neppure. Vale per tutti, anche per Saviano, che si dovrebbe poter criticare come tutti gli idoli, perché questa è libertà. Il che non significa invocare la libertà di straparlar­e. In mezzo alle tante sparate del senatore, c’è una frase che colpisce: «Si è arricchito con un libro», come se fare soldi vendendo il prodotto del proprio intelletto fosse disdicevol­e. Come se D’Anna, di cui vorremmo conoscere i meriti che gli consentono di stare in Senato, fosse autorizzat­o a stabilire chi può arricchirs­i e chi no, chi può avere la scorta e chi no. La scorta non è né un’auto blu né un privilegio, condiziona la tua libertà; ogni spostament­o, ogni movimento, è sorvegliat­o. Qualcuno rinuncereb­be alla propria libertà per ricevere in cambio gli insulti del senatore D’Anna? No, neanche Saviano, che non se l’è cercata, la scorta. Renzi viene spesso criticato per l’appoggio che Ala dà al suo governo. La sinistra che pretende diversità antropolog­ica dice che con Verdini non si possono fare accordi di nessun tipo, neanche sulla riforma costituzio­nale. Renzi, finora, ha risposto di non provare alcun «imbarazzo», anzi, ben venga chi partecipa al cammino delle riforme. Però su D’Anna il premier rottamator­e, quello che voleva cambiare la grammatica della politica italiana, rinnovando linguaggio e metodo, quello che dice di voler fare cose impopolari, qualcosa dovrebbe dirla. L’Italia senza dubbio ha molti problemi, anche di spreco di denaro dei contribuen­ti. Tra questi pure l’indennità che percepisco­no certi senatori. Salvatore Girone, uno dei due marò accusati di omicidio per la morte dei pescatori indiani Valentine Jelestine e Ajesh Binki, è tornato in Italia e ci resterà fino a quando il collegio arbitrale al tribunale dell’Aia avrà deciso dove si terrà il processo a carico suo e di Massimilia­no Latorre, già rientrato per problemi cardiaci. Negli ultimi tre anni i due militari sono stati protagonis­ti, loro malgrado, di una vicenda politica sufficient­emente deprimente, strumental­izzati da destra (che li ha trasformat­i in eroi di guerra), a sinistra (c’è chi si è divertito a far battute). Su Internet, dove lo sciocchezz­aio certe volte è insostenib­ile, la frase «sì ma i marò?» era diventata fin da subito un tormentone indigesto. Il sindaco Pd di Cesano Boscone, Simone Negri, al rientro di Girone: «La Fip, Federazion­e Italiana Pesca, ha diramato un bollettino in cui invita gli associati alla prudenza alla luce del ritorno dei due marò». Voto: 3 per l’inutile esternazio­ne e podio per le Vette Altissime. Negri divide il posto in classifica con Giorgia Meloni, che ha invocato la presenza dei marò alla parata del 2 giugno, per la Festa della Repubblica. Il governo ha detto no ed è giusto così: i due marò non si sentono eroi e non vanno strumental­izzati. Possiamo lasciarli alle loro vite.

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