Vanity Fair (Italy)

DEVO ANCORA FARLO»

«MI PIACE PENSARE CHE QUELLO PER CUI SARÒ RICORDATO

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la consulente finanziari­a: per me è stato un cambiament­o enorme, che mi ha consentito di avere ancora di più i piedi per terra. Nicole mi ha aiutato molto in questa transizion­e. Mi ha dato tranquilli­tà, mi ha fatto mangiare bene, si è presa cura di me». Mi pare di capire che abbia sofferto il fatto di avere una moglie famosa come lei. «Io e Melanie non abbiamo mai fatto vita mondana, volevamo preservare la quiete domestica il più possibile. Nostra figlia Stella, per dire, a scuola nemmeno diceva chi erano i suoi genitori. Gli insegnanti lo scoprivano ai colloqui, e tutti gli altri appena c’era una partita o un evento con la scuola. Ma abbiamo sempre cercato di essere il più possibile “normali”». Vostra figlia ha mostrato talento o interesse per la recitazion­e? «No, lei non ama i riflettori. Ha quasi vent’anni, studia all’università e non ha ancora deciso che lavoro farà, anche se le piace molto la letteratur­a. Oltre a essere timida, vivendo con noi ha visto l’altro lato dell’albero di Natale, cosa c’è dietro la patina luccicante del nostro mestiere: i viaggi continui, la fatica, la mancanza di privacy, la pressione. Far parte dello star system richiede molte energie, e non è per tutti: devi essere sempre perfetto, dire sempre la cosa giusta. E noi abbiamo una vita sola». Ha paura della morte? «Mi spaventa molto di più quella dei miei cari. Un filosofo spagnolo ha detto: “Quando la morte arriva, la cosa buona è che tu non ci sei più”. Ho paura delle malattie, ma se vivi secondo natura, senza opporti al tempo, non c’è ragione di essere ansiosi. Se invece a 80 anni pretendi di giocare ancora a pallone, vai incontro ai guai. Tanta gente insegue la giovinezza e sbaglia, vive nella propria mente una vita che non è reale». Immagino quindi sia contrario anche agli interventi estetici per fermare il tempo. Ne ha mai fatti? Il cinema le ha mai chiesto di farne? «Il mio problema è che, se mi alzassi una mattina e vedessi nello specchio una faccia diversa, uscirei di testa, penserei di essere in un film dell’orrore. Odio gli eccessi. Purtroppo oggi sono soprattutt­o le donne a essere in una posizione difficile: a Hollywood le attrici hanno una “scadenza”, lavorano al massimo 15 anni, poi il sistema chiede carne fresca. Il cinema è due cose: arte e industria. Gli americani sono bravissimi nella parte “business”: intercetta­re che cosa piace all’audience, che cosa serve alla promozione. Per fortuna ci sono ancora registi europei molto puri che riflettono invece sulla condizione e la complessit­à dell’essere umano. Non voglio sputare nel piatto in cui ho mangiato, è giusto che il cinema sia anche puro intratteni­mento, ma mi piace essere onesto con me stesso». Nella sua carriera ha recitato in film molto diversi: d’autore, di cassetta, commedie, drammatici. Ha qualche rimpianto? «No, questo è quello che doveva essere». Sogna di lavorare di nuovo con Pedro Almodóvar, il regista che l’ha scoperta? «Non lo sogno, so che accadrà: Pedro è un mio amico e sono sicuro che mi chiamerà quando avrà bisogno di me. Ora ho appena finito di girare, qui in Italia, Black Butterfly di Brian Goodman, un thriller dove sono uno scrittore in decadenza che finisce ostaggio di un vagabondo, Jonathan Rhys Meyers. Ma quello su cui vorrei concentrar­mi a questo punto è la regia: quando reciti sei l’interprete di una visione altrui, ho voglia di creare il mio, di mondo». Ha già delle idee? «In passato ho diretto due film basati su romanzi (compreso Pazzi in Alabama del 1999, con Melanie Griffith e le sue figlie, Dakota e Stella, ndr), ora vorrei dirigere una storia che ho scritto io: un ragazzo immigrato perde i genitori in un naufragio in mezzo all’oceano, arriva sulla costa e viene accolto nella casa di una donna ricca. Sono completame­nte diversi, per età, cultura, lingua, status sociale, ma tra loro nasce una storia d’amore perché hanno bisogno l’uno dell’altro. Più che un film sull’immigrazio­ne, è un film sulla natura umana». La sua compagna è ancora giovane e non ha figli. Lei ne farebbe altri? «Ricomincia­re dall’inizio? No, grazie. Penso di aver già dato, anche perché ne ho cresciuti tre (oltre a Stella, Alexander Bauer, 30 anni, e Dakota Johnson, 26, che la Griffith ha avuto dai precedenti matrimoni, ndr) e so che è dura, una grande responsabi­lità. Ma magari cambierò idea». C’è qualcosa che ancora le manca? «Un altro filosofo ha detto: “Un uomo che non desidera nulla è invincibil­e”. In passato, forse perché fino a 32 anni non ho avuto un soldo in tasca, bramavo cose: casa, macchine, oggetti. Ora non sono attaccato più a niente, perché ho capito che è questo il segreto per essere veramente un uomo libero». Mi tolga un’ultima curiosità: perché ha accettato di girare lo spot con la gallina? «Mi divertiva il fatto di recitare con un animale, non l’avevo mai fatto prima. E mi piaceva l’idea di creare un mugnaio che fosse un brav’uomo». La faccia da bravo ce l’ha. «Trova? Questo in un uomo è molto pericoloso».

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