Vanity Fair (Italy)

IL M5S CAMBIA

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l Pd si è salvato a Milano, città laboratori­o dove si sfidavano due manager e dove al ballottagg­io Giuseppe Sala ha battuto Stefano Parisi. Insomma: #ciaone. Altrove però si vede in tutta la sua evidenza il grande problema del partito di Matteo Renzi: la classe dirigente, sia vecchia sia nuova. A poco è servito, nelle due settimane di campagna elettorale per il ballottagg­io, provare a dipingere Chiara Appendino e Virginia Raggi come due fanatiche o ad appigliars­i, come nel caso di Roma, alle richieste di avviso di garanzia per presunte anomalie nell’affidament­o dell’Asl di Civitavecc­hia di due incarichi di recupero crediti. È lo stesso errore compiuto dalla sinistra con Berlusconi per un paio di decadi: cercare di battere l’avversario non politicame­nte ma per via giudiziari­a. Le due nuove sindache di Torino e Roma non hanno niente in comune con lo sciachimis­mo dei Carlo Sibilia e delle Paola Taverna, con la sindrome da Club Bilderberg sempre in agguato. Anzi, verrebbe da dire che erano tutto fuorché candidate antisistem­a, come da narrazione del partito di Grillo. Segno che il M5S può cambiare, istituzion­alizzarsi, persino farsi establishm­ent. Ed è lì che diventa un problema per il Pd, specie in caso di elezioni politiche, visto che l’Italicum, la nuova legge elettorale, prevede il secondo turno. Se prendessim­o per buono quel che arriva dalle urne di domenica e lo proiettass­imo a livello nazionale, dovremmo dire che il Pd è in grado di battere il centrodest­ra (Milano, Bologna) ma può perdere la sfida diretta con il M5S (Torino, Roma), anche se candida personalit­à dignitose come Piero Fassino. Chissà che cosa pensa il presidente del Consiglio del segretario del Pd. Di certo Renzi 1 non può essere soddisfatt­o di Renzi 2. Anche perché il segretario del Pd se n’è abbastanza fregato del partito, consideran­dolo un fardello e preferendo il ruolo da premierroc­kstar. Eppure viviamo un periodo di crisi dei partiti convenzion­ali e la gente trova risposte altrove. Magari si ritira nel privato e nel disimpegno, oppure trova nuove forme di associazio­ne politica. Il Pd e Renzi sembrano soffrire oggi di quei sintomi di cui parla il compianto politologo Peter Mair in un suo libro recentemen­te tradotto in Italia, Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti (Rubbettino). «I partiti possono ancora fornire la piattaform­a necessaria ai leader politici — scrive Mair — ma questa piattaform­a è utilizzata nei fatti come rampa di lancio per raggiunger­e altri uffici e posizioni. I partiti stanno quindi fallendo come risultato di un processo di mutuo indietregg­iamento o abbandono, in cui i cittadini si ritirano verso una vita più privata o si rivolgono a forme di rappresent­anza più specializz­ate e specifiche, mentre i leader di partito si ritirano nelle istituzion­i, traendo i loro termini e modelli di riferiment­o più facilmente dai loro ruoli di governator­e o funzionari pubblici». Per attualizza­re: Renzi si è chiuso nel suo Palazzo Chigi e non esce di lì da due anni e mezzo. È il simbolo della politica chiusa nelle istituzion­i ed è paradossal­e per chi come Renzi è arrivato al governo, seppur senza elezioni, presentand­osi come voce del popolo contro i vecchi bolliti distanti dalla gente. Ma da queste amministra­tive non arrivano messaggi squillanti solo per il Pd. Anche Matteo Le Pen Salvini può trarre qualche lezione. A Roma ha sostenuto Giorgia Meloni ed è rimasto fuori dal ballottagg­io. A Milano ha sostenuto al secondo turno Parisi e ha perso. Ha perso pure a Bologna e a Varese, città di Umberto Bossi, che fino a domenica è stata per 23 anni nelle mani della Lega, e oggi il partito di Salvini è all’opposizion­e in dodici capoluoghi di provincia proprio in Lombardia. Parisi con il lepenismo non c’entra nulla ed è riuscito a sfiorare la vittoria senza berci e senza esagerazio­ni. Il salvinismo invece cresce e funziona solo quando si brandiscon­o invasioni straniere che non esistono, quando si gioca con le paure delle persone. Il salvinismo è la malattia infantile del populismo.

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